di Gianluca Virgilio
Peraltro sono arrivato al punto di vivere esattamente come penso,
e frattanto forse ho imparato anche a dire realmente quello che penso.
Lettera di F. Nietzsche a J. Burckardt
di fine agosto-primi di settembre 1882,
n. 294 dell’Epistolario 1880-1884.
Scrivere un diario: per fare il punto della situazione, capire dov’è giunta la nostra vita, per vederci chiaro, per vivere con la coscienza delle ragioni per le quali si vive, per sapere quello che si vuole o non si vuole, in definitiva, chi si sia o si sia diventati. Un diario da tenere ogni giorno, dedicandogli solo un’ora su ventiquattro, come disciplina quotidiana, momento supremo di chiarificazione interiore. Un diario che non serva a giustificare la propria vita, ma a confermarla, a trattenerla quasi.
Un diario per rappresentare la propria vita, commentandola a fondo e con lentezza, perché la scrittura costituisca una sorta di argine maestro per un flusso altrimenti scomposto. La scrittura per combattere la dissipazione, impedendo il perdersi del tempo e di ogni esperienza, per porre un freno alla corsa della vita, alla dilapidazione di ogni bene nell’incoscienza della routine quotidiana.
Un diario per riappropriarsi del tempo, lasciando impressa la traccia nella pagina di un quaderno. Il diario come una musica inscritta nella sua partitura, una statua, un dipinto, un’opera d’arte nella quale l’artista ha trasposto la propria vita “contro il tempo”.
Un diario frammentario, scritto nei “ritagli” di tempo: all’inizio forse è così, poi aumenta la dedizione. Nel diario non ci deve essere solo quello che si fa o non si fa in una giornata, ma anche quello che si è fatto in passato e quel che si pensa e si è pensato. Il diario dice chi sono, ma anche chi son stato. Pertanto, bisogna sempre accogliere i pensieri che vengono da lontano, dal passato recente o da quello che ci sembrava ormai sepolto. Non si può scrivere un diario senza che vi rimanga inscritta tutta la vita di un individuo, e anche di più.