di Viator
Capelli neri lunghi che scivolano
sulle spalle; ma io non posso
cantare nel giorno della memoria:
scheletri di altri tempi ballano
nei campi di sterminio e gridano
forte la loro triste sorte.
Non sarà una delle più belle poesie di Piero Pellegrino (Lecce, vivente), ma di sicuro è segnale che conduce all’uomo Pellegrino. Una costante nella sua poesia è il riaffacciarsi di persone e vicende lontane, sfocate, visioni che sembrano quasi soffrire nello sforzo di trovare profili definiti, chiari. Come chi, chiamato all’appello, cerchi di farsi largo dalle retrovie della folla sterminata dell’esistenza per giungere in prima fila e farsi vedere.
Di flussi di memoria è piena la letteratura del Novecento. Mai l’uomo in precedenza si era tanto ripiegato, mai aveva tanto intrigato col passato; mai il poeta aveva saputo esprimere quella condizione.
In questa breve poesia, composta da Pellegrino il 27 gennaio 2007 e compresa nella raccolta “Non è più stagione” (Besa, s.d.), appare una donna, anzi solo il simbolo del suo essere: “capelli neri lunghi che scivolano sulle spalle”. Il poeta trattiene nome, identità, ruolo. O semplicemente ritiene che non sia importante dirlo. Basti la suggestione dell’impatto. Il lettore la immagina come il poeta la propone, di spalle; e dunque senza volto.
Non è raro che il poeta in genere viva nel ricordo episodi mai vissuti nella loro dimensione fenomenica, ma veri nell’anima.
Chi è quella donna? Un amore? Un incontro fuggevole? Una persona cara? Un’antenata, vista solo in una vecchia foto? Una donna silenziosamente e intimamente agognata? Morta? Viva? Il lettore, il critico, il curioso non cerchi oltre!
Chiunque essa sia, per lo stesso poeta non può andare oltre un lampo di pensiero. E’ il 27 gennaio, “giorno della memoria”. Le tante vite umane stroncate nei campi di sterminio avanzano come il “quarto stato” dell’umanità, una riedizione di Pellizza da Volpedo, raccolgono e trascinano nella marcia ogni altra memoria; nessuna triste sorte le può essere pari; nessuna le può resistere.
L’immagine iniziale, solitaria e anonima, introduce in correlazione quella grandiosa, la moltitudine che avanza. Il che esalta ancor più l’importanza della sospensione memoriale intima del poeta. “Scheletri di altri tempi ballano / … e gridano / forte la loro triste sorte”.
Nel giorno della memoria il poeta cede al cittadino.
[“Presenza taurisanese”, gennaio 2016]