di Giovanni Invitto
Nel titolo sono accostati due fatti culturali di genere diverso: un film che prende spunto da un precedente romanzo e un programma di videoscrittura con il quale chi qui scrive salva i propri files sul computer. Questi due elementi, film e informatica, vengono unificati nella terza parte del titolo che riguarda la memoria. In particolare si esaminerà la memoria nel momento in cui è depositata negli scritti, siano essi gli scritti che troviamo trasformati in libri quanto quelli che costruiamo e conserviamo nel computer. Si tratta di due temi apparentemente diversi ed estranei: il rogo dei libri, evento ripetutamente presente nella storia, e la civiltà informatica nella quale, volenti o nolenti, tutti noi ora siamo immersi e dalla quale dipendiamo. Il tratto che unisce i due fenomeni apparentemente eterogenei è o potrebbe o potrà essere uno: la perdita della memoria del singolo e della comunità umana.
1. Partendo da Don Chisciotte
Parliamo di memorie che si possono estinguere e che, in alcuni casi, si decide di estinguere. L’esempio del rogo dei libri presentato da Fahrenheit 451 è emblematico. Per di più, l’immagine del rogo di libri è ripetutamente presente nella nostra cultura. Forse non è un caso che il primo libro sequestrato e destinato alle fiamme di cui, nel film in questione, si vede il titolo sia il Don Chisciotte di Cervantes, nella versione spagnola. Per tale motivo introduciamo un brano di questo importante romanzo pubblicato nel 1605:
Chieste le chiavi alla nipote, della stanza dove erano i libri, autori del malanno, ella gliele diede di buona voglia. Entrarono dentro la governante e tutti, e trovarono più di cento volumi di grossi libri, molto ben rilegati, ed altri di minor dimensione. Come la governante li vide, si voltò per uscire lesta lesta dalla stanza e subito tornò con una ciotola d’acqua benedetta e un aspersorio […]. Il curato si stancò di vedere altri libri, e così, in blocco, volle che tutti gli altri si bruciassero. […] Quella sera la governante bruciò e distrusse quanti libri c’erano nel cortile e per tutta la casa, e ne dovettero andare arsi certuni che avrebbero meritato d’essere custoditi in perpetui archivi: il che non permise però la loro sorte né la lentezza dello scrutinante. Così si avverò in essi il proverbio che talvolta il giusto la paga per il peccatore. Uno dei rimedi che il curato e il barbiere suggerirono per allora, al fine di curare il male del loro amico, fu di murargli e di tappargli la stanza dei libri, perché quando si fosse alzato non li trovasse (togliendogli la causa, verrebbe forse a mancare l’effetto), e di dirgli che un incantatore se l’era portati via con la camera e tutto[1].