Umanistica o scientifica? La cultura è una

Lamberto Maffei è stato direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e del laboratorio di Neurobiologia alla Normale di Pisa, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei; è professore emerito di neurobiologia. A pag. 89 del suo Elogio della lentezza dice  che lo studio è tutto umanistico, che non esiste una disciplina più umanistica della matematica, o dello studio della natura, degli animali, dell’uomo, perché le discipline curiosity driven sono tutte umanistiche e non mirano direttamente ad altro prodotto che non sia quello della conoscenza e del gioco giocoso dell’intelletto. 

Cultura umanistica. Cultura scientifica.  L’una e l’altra si occupano del mondo e delle creature che lo abitano; l’una e l’altra si (pre)occupano di darci dei riferimenti per non farci disperdere nel corso del nostro girovagare da queste parti; l’una e l’altra in fondo non fanno altro che cercare di attribuire  un senso al nostro essere qui adesso. Indagano la condizione umana, l’una e l’altra, tentando di svelare i suoi misteri. Sono un modo per raccontare il mondo, con parole diverse. Se fosse solo l’arte, per esempio, a raccontare il mondo, ci mancherebbero le parole della scienza,  come ci mancherebbero quelle dell’arte se avessimo solo le  parole della scienza. La scienza ci racconta il tempo e lo spazio con il lessico e la sintassi che le appartengono; Eliot ci racconta la stessa cosa con  quei versi che dicono: “Se spazio e tempo, come i saggi dicono, / sono cose che mai potranno essere,/ la mosca che è vissuta un solo giorno/ vissuta è a lungo proprio come noi”.

Cultura umanistica, cultura scientifica. Forse si potrebbe dire, molto semplicemente, che si tratta di due racconti diversi.

Forse si potrebbe dire che la cultura umanistica serve per comprendere la sostanza della relazione degli esseri umani con gli altri esseri e con se stessi; serve per comprendere le rappresentazioni di fortune e di sfortune, di ricchezze e di miserie, di passioni e fatalità, di condizioni dell’essere, l’irripetibilità o la comunione, la singolarità o l’universalità delle storie o dei destini.

Forse si potrebbe dire che la cultura scientifica serve  a tentare di  violare l’arcano, a decifrare i codici di Dio, ad approssimarsi ai confini dell’inconoscibile, del mirabile, dello spaventoso; a tentare disperatamente di stringere in una formula l’infinito e l’eterno, di rappresentare con convenzione di  figure l’infigurabile che non ha, non può avere  convenzioni.

Forse si può dire che l’una e l’altra servono ad attribuire significati sempre nuovi alla memoria. Perché senza memoria non c’è esistenza o c’è un’esistenza sospesa in un vuoto di senso. Perché senza memoria non ci può essere scienza.

Ma poi, in fondo, cultura umanistica e cultura scientifica si congiungono in una comune denominazione che  Roland Barthes definiva “Sapientia”: nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di saggezza, e quanto più sapore possibile.     

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 23 gennaio 2022]

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