di Annalucia Cudazzo
“salve sono tornata: sono malata malata d’amore, levami
ahi la scarpetta, tutta abitata, oddio
formicolata… scrivila in giardino…
.
(il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio
e un fremito mi ha sconvolta
.
“il foro s’è implicato ne la roccia. ò pervenuto
a tale disanimale limine che tramandi le linee
d’un riflesso stringente, tu che hai fatto rovente
la voce dei vulcani il giorno del Movimento
interreno, del materiale acceso; il giorno del Materiale
immite vento
.
(sicuro ora ne devo scrivere. pure quel giorno
in me poneva il cardine meno sensazionale. cronaca
cantico o mensura, ma di parole-Rotolo. era la terra
astratta dei fiori corpo a corpo
.
– penso senza il sonoro
entro codesto margine del Rotolo
e la sinistra gira mentre in continuazione
certo mi ricapitoli man mano
che mi leggi ed io mi annido
nel lievissimo plesso della ipsylon
Il nono componimento della raccolta[2] trascina il lettore in una dimensione intrisa di forte carica erotica: la poetessa fa la sua improvvisa apparizione nel primo verso («salve sono tornata») e riprende immediatamente le parole della Sulamita, sebbene per l’unica volta non si sottolinei la citazione: «sono malata malata d’amore» scrive la Ruggeri, come nel Cantico 2:5. È una dichiarazione d’amore, ma anche di follia, un delirio amoroso evidente anche dalle interiezioni che si leggono nel verso successivo: «ahi», «oddio». La poetessa ansimante ordina all’uomo amato di sfilarle la stretta scarpetta, elemento che lascia immaginare che nella scena seguente, non descritta in versi, la donna continui a spogliarsi per consumare un rapporto con il suo «diletto»: subito dopo, infatti, viene citato il Cantico dei Cantici 5:4, in cui la Sulamita viene sconvolta da un fremito perché il pastore «ha messo la mano nello spiraglio», allusione ai genitali femminili, simbolo del vuoto.