Da Dante a Croce di Mario Marti

            Si tratta di dialoghi “amabili”, come li definisce lo stesso autore, ma da lui  condotti sempre con estrema franchezza e senza esclusioni di colpi, col piglio combattivo di sempre. Marti a volte concorda con gli altri studiosi, a volte dissente,  sostenendo fermamente le sue tesi, con ricchezza impressionante di motivazioni ideologiche, biografiche, stilistiche,  metriche, ma anche lessicologiche e glottologiche. Anche qui insomma, da autentico maestro quale egli è, continua a impartire la sua lezione di metodo, basata in primo luogo sull’accertamento filologicamente corretto dei testi prima di procedere a qualsiasi ipotesi interpretativa, secondo una sua fortunata formula (“dal certo al vero”).

            Non mancano nemmeno, in questo libro, che contiene anche interventi di carattere metodologico (sul rapporto letteratura-storia e sulla critica di Benedetto Croce), alcuni contributi dedicati a opere e autori salentini, che Marti ha avuto il merito di valorizzare e inserire in una prospettiva nazionale ― “dalla regione per la nazione”, appunto, per usare il titolo di un suo libro ― con la  “Biblioteca salentina di cultura” (poi divenuta “Biblioteca di scrittori salentini”). Ecco allora i saggi su Rogeri de Pacienza, la Rassa a bute e Salvatore Toma. Particolarmente intrigante e vivace risulta proprio il saggio su Toma, che prende spunto dalla pubblicazione della raccolta einaudiana Canzoniere della morte,  “inventata” dalla curatrice, Maria Corti, per giungere a una più obiettiva valutazione di questo poeta, di contro a facili e acritiche esaltazioni.

            Il volume si conclude, significativamente, con un omaggio al primo “maestro” di Marti,  Raffaele Spongano, in occasione dei suoi cento anni, con la commossa rievocazione del suo insegnamento al Liceo classico “Colonna” di Galatina nei primi anni Trenta e poi delle successive occasioni di incontro. E in questo come in altri scritti del libro i ricordi autobiografici si intrecciano con le acute analisi critiche, rivelando  anche l’umanità dello studioso.

[in «Corriere del Mezzogiorno», 8 ottobre 2005]

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