di Antonio Lucio Giannone
Da oltre sessant’anni Mario Marti, “salentino classe 1914”, va indagando autori e opere della letteratura italiana con passione e rigore critico. Nella sua bibliografia, che conta ormai più di mille titoli tra volumi, saggi, recensioni e articoli, spiccano, in particolare, i contributi fondamentali sui primi secoli (la prosa del Duecento, i poeti “giocosi”, lo Stil novo), su Dante, Boccaccio e Leopardi. Dopo una prestigiosa carriera accademica che l’ha portato a ricoprire diversi incarichi (tra cui quello di Rettore dell’Università degli Studi di Lecce), Marti ha continuato a esercitare il suo magistero soprattutto dalle pagine dell’autorevole “Giornale storico della letteratura italiana”, di cui è condirettore, dimostrando una operosità davvero fuori dal comune. Il frutto più recente del suo lavoro è il volume Da Dante a Croce. Proposte consensi dissensi (Galatina, Congedo, 2005), apparso nella collana delle Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia, linguistica e letteratura dell’Ateneo salentino.
Il libro raccoglie tredici studi pubblicati quasi tutti negli ultimi dieci anni. Alcuni di essi sono nati come omaggi a colleghi e amici in occasione del raggiungimento dei settanta anni e del “fuori ruolo”, altri come accurate recensioni, nelle quali Marti dibatte complesse questioni critiche, filologiche, variantistiche con italianisti del valore di Domenico De Robertis, Vittore Branca, Maurizio Vitale e Luigi Blasucci. Emergono così alcuni snodi problematici della nostra letteratura affrontati tante volte dallo studioso nel corso della sua lunga attività: i rapporti tra Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, entrati in crisi, a suo parere, per motivi politici e non di carattere poetico; la presunta paternità dantesca del Fiore, verso cui conferma il suo “motivato dissenso”; le Rime di Dante, delle quali si discutono proposte di attribuzioni, ordinamento e resa editoriale in una affilata disamina dell’edizione critica curata da De Robertis; le due “redazioni” del Decameron, a proposito delle quali preferisce parlare di “varianti” e “interventi d’autore”; le due canzoni “sepolcrali” del Leopardi, composte, secondo il critico, in tempi diversi.