di Guglielmo Forges Davanzati
Il Piano nazionale di ripresa e di resilienza è stato salutato come una svolta positiva delle politiche economiche dell’Unione europea e, in larga misura, va riconosciuto che di questo si tratta. Occorre ricordare che il Piano costituisce il programma di politica economica italiano nell’ambito di quello europeo denominato Next Generation EU ed è strutturato nella forma di erogazione di fondi pubblici per il sovvenzionamento di progetti proposti da enti locali. Il PNRR ha come suo antecedente il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità. Il MES è un trattato internazionale, sottoscritto nel 2012 (per l’Italia dal Governo Monti) e ratificato da tutti i 27 gli Stati Membri: non è un trattato europeo perché allora la Gran Bretagna non lo sottoscrisse. Il MES è il terzo degli strumenti creati nella crisi post 2008 e ha “aiutato” Cipro, Grecia e Spagna. De facto è un fondo salva-banche: formalmente ha salvato le banche greche e spagnole, debitrici delle banche francesi e tedesche; sostanzialmente i contribuenti europei, pagando il MES, hanno salvato le banche francesi e tedesche creditrici delle banche greche e spagnole. Il MES e gli altri due strumenti salva-banche sono costati all’Italia 60 miliardi di Euro.
Precisamente nel MES il capitale sottoscritto totale è pari a 704,8 miliardi di euro, il capitale versato è pari a 80,5 miliardi. La ripartizione delle quote di ciascuno Stato membro al capitale sottoscritto totale è basata sulla partecipazione al capitale versato della BCE, modificata secondo una chiave di conversione.
La principale criticità del Piano nazionale di ripresa e di resilienza consiste nella sua condizionalità, ovvero il fatto che l’erogazione dei finanziamenti è subordinata all’attuazione di misure di austerità, ovvero alla compressione della spesa pubblica e all’aumento della pressione fiscale.