Ed è proprio questo che genera perplessità negli italiani. Assistono, infatti, all’affannosa corsa a “far passare” provvedimenti proposti come strumenti d’una maggiore efficienza gestionale; in realtà, però, benché propugnati come mezzi di “stabilità e crescita”, di fatto implicano modiche sostanziali di princìpi essenziali, peraltro sanciti come fondamentali dalla Costituzione. Senza nascondersi che è molto incerto che tutto ciò arrechi qualche utilità alla vita del cittadino. A confermare la diffidenza dell’italiano politicamente “laico” (quindi, osservatore disinteressato, imparziale e sereno) non è solo ciò su cui si legifera, ma anche il modo con cui in questi ultimi tempi si opera in politica, sia nei palazzi e sia nelle piazze. Infastidiscono e suscitano sospetto l’arroganza dei partiti che il numero dei votanti di turno designa “maggioritari” e la baldanza di dirigenti, che rivendicano per sé il compito di decidere contenuti, tempi e modi della vita pubblica, sempre vigili a salvaguardarla dagl’intralci provenienti sia dai partiti indicati “minoritari” dal numero dei votanti sia da chi all’interno della cosiddetta “coalizione di maggioranza” tenti di discostarsi dalla linea dettata dai propri dirigenti. Ovviamente s’invoca sempre la necessità del dialogo aperto e disponibile a ogni contributo, salvo poi a non rintracciarne mai alcuno valido e appropriato. Inoltre, non si perde occasione per sottolineare e recriminare l’importante numero degli elettori non votanti; addirittura nei loro confronti s’è coniato il termine “astensionisti”, come se il non recarsi alle urne sia sempre e comunque una scelta d’irresponsabile disinteresse e non (anche e soprattutto) una decisione meditata, sofferta e perfino obbligata dai fatti, secondo l’insegnamento anche di Platone.
Si conosce da tutti la necessità della tempestività risoluta necessaria ai governanti. Ma già cinque secoli fa il Machiavelli, commentando e suggerendo l’antico pensiero di Tito Livio, metteva in risalto il valore della “imitazione” del passato e insegnava, anche a tal fine, in cosa doveva consistere la “virtù” del governante efficiente: saggio equilibrio di perspicacia dell’intelligenza. per comprendere ogni situazione, e di forza volitiva sicura, ma sempre suggerita e valutata dalla complessità dei problemi. Ma questo richiede il contributo di tutti. Da tutti, quindi, si richiede un momento di autocritica. Di primaria importanza, per esempio, è il ponderare le conseguenze possibili dell’uso attuale del voto segreto e del voto palese, in quanto i rischi cui si può incorrere non sembrano né pochi, né astratti, né lontani. Da una parte, infatti il voto segreto da espressione di responsabilità politica e da salvaguardia di libertà di coscienza e divenuto circostanza per l’esplosione d’inespressi risentimenti e occasione per la resa dei conti; il voto palese, dall’altra parte, da strumento legislativo condiviso, spedito e limpido è divenuto strumento di ricatto e di coercizione.
Tralasciando considerazioni d’altra natura, è innegabile che in questo modo risultano confusi i confini e stravolti i ruoli tra fedeltà politica e coscienza morale e si generano pericolosi equivoci avallati spesso da colpevoli silenzi. Non si tratta di sconfessare e capovolgere la secolare conquista di Machiavelli, rivendicando oggi l’autonomia della morale dall’egemonia della politica; si tratta di rinverdire con nuova linfa vitale la deontologia politica, cioè riscoprire le ragioni etiche, che danno senso all’azione politica, da parte di tutti i cittadini, ognuno nel ruolo che ha scelto o che gli è stato affidato. Sopravvalutare le ragioni della politica significherebbe valicare i confini dello stato etico: sarebbe utile, allora, meditare sulle circostanze e sui contenuti del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, scritto nel 1925 da Benedetto Croce. Sopravvalutare il ruolo delle esigenze del privato significherebbe assolutizzare gli egoismi, avversari d’ogni possibile azione veramente politica. Alcide De Gasperi – che seppe perché, quando e come dedicarsi alla politica e intuì quando e come uscirne – insegna che il politico è democratico quando possiede e pratica il “metodo democratico”, cioè quando cerca il dialogo e rispetta la deontologia propria della politica: un governante ottimo – ammonisce – rispetta i valori con fedeltà costante e grande coerenza. Queste, però, non un valore in sè e per sè, ma sempre agganciate a una scelta, che abbia valore in sé e che ne fondi la validità.
A battere un terreno più concreto ci indirizza Enrico Berlinguer, audace innovatore politico: “I partiti – dichiara già nel 1981 a Eugenio Scalfari – non fanno più politica, e questa è l’origine dei malanni d’Italia”. E Aldo Moro, martire per la coerenza, avverte: “Per fare le cose, occorre tutto il tempo che occorre” e raccomanda il rispetto del ruolo degli organi intermedi: “Il decentramento nella gestione degli interessi comuni – ammonisce – è uno strumento dell’avvicinamento del potere agli amministrati e dell’umanizzazione di esso come garanzia del suo retto fine”. Insegnamenti necessari anche nei nostri tempi. In momenti di particolare smarrimento ci soccorre comunque l’esperienza di Mahatma Gandhi: “Meglio un milione di volte sembrare infedeli agli occhi del mondo che esserlo verso noi stessi”.