L’instaurazione del Comunismo segnò una profonda ferita nell’Europa ‘cristiana’ e le vicende che seguirono (pensiamo allo stalinismo) non hanno fatto altro che approfondire questo solco. A nulla sono servite ‘revisioni’ di varia natura e il tentativo, operato da uno dei migliori uomini politici del Novecento, Michail Gorbaciov, di ‘ristrutturare’ e ‘rendere trasparente’ il governo sovietico. Ma oggi si è voltata pagina: la Russia non è più l’impero sovietico, è un governo democratico, dove si tengono libere elezioni. Eppure, alla Russia si oppone ancora l’obiezione di non essere ‘occidentale’. Con questa valutazione contrasta l’opinione di Putin, di cui ha dato notizia E. Franceschini in una nota apparsa su L’Espresso del 26 novembre 2021. In una intervista concessa al giornalista inglese David Frost Putin disse: “Non escludo di entrare nella Nato, se verremo considerati come partner alla pari”. Aggiungendo poi: “La Russia fa parte della cultura europea e non posso immaginare il mio paese isolato dall’Europa e da quello che consideriamo il mondo civilizzato”.
L’atteggiamento della Nato allora impedì un accordo, e nel frattempo molte cose sono successe che hanno modificato la situazione. Ma la sostanza è la stessa: la Russia è paese di cultura europea e la sua esclusione dal suo contesto naturale è dovuta più che altro a pregiudizi politici. Altrimenti, non si capirebbe come possano essere considerati più ‘europei’ paesi come la Moldavia, la Bielorussia e l’Ucraina.
Le aspirazioni, frustrate, della Russia di far parte dell’Europa fanno pensare ai versi della nota canzone di Jannacci: “Vengo anch’io. – No, tu no. – Ma perché? – Perché no.” Eppure queste aspirazioni datano almeno dalla politica dello zar Pietro il Grande che, per favorirle, spostò la capitale da Mosca a San Pietroburgo, e furono alimentate da aperture culturali che videro scienziati, architetti, artisti europei operare alla corte degli zar.
E veniamo alla questione dell’Ucraina. Bisogna rendersi conto del fatto che l’eventuale adesione di questa regione alla Nato non possa non essere vista con sospetto dalla Russia. Nato significa difesa, significa missili e la Russia non può permettere che i missili della Nato siano piazzati nel cortile di casa. Non fu così con la reazione degli Usa all’installazione dei missili sovietici a Cuba nel 1962, che sfiorò la guerra mondiale? L’annessione della Crimea, peraltro convalidata da un referendum, è stata dovuta alla necessità di salvaguardare il porto di Sebastopoli, sede della flotta russa del Mar Nero, senza il quale la Russia sarebbe stata completamente esclusa dalla possibilità di operare nel sud Europa e sarebbe rimasta solo una potenza ‘artica’. Fino ad allora Sebastopoli era stato tenuto con un contratto di locazione sottoscritto con l’Ucraina dopo che quest’ultima aveva conseguito l’autonomia. Infine, il Donbass è una regione costituita da popolazioni russe e ucraine; per questa sua composizione avrebbe bisogno di un ordinamento che riconosca pieno diritto alle minoranze linguistiche, come nell’Alto Adige, secondo esplicite richieste di Putin.
Tutte queste considerazioni dovrebbero indurre l’Europa (e la Nato) a trovare con la Russia tutti i possibili accordi, e non solo in forza di convenienze politiche ed economiche, ma di convergenze culturali, che potrebbero essere utili anche a favorire l’evoluzione della Russia in senso più compiutamente occidentale. L’Europa dovrebbe superare l’intransigenza degli Stati Uniti, che è fortemente condizionata da pregiudizi anticomunisti e antisovietici. La mancata soluzione del problema rischia di consegnare (come di fatto sta avvenendo) la Russia all’abbraccio con la Cina, non si sa con quali conseguenze future sugli equilibri mondiali e sulle sorti dell’Europa.