La lanterna di Diogene e la lampada di Aladino. Filosofie film narrazioni 7. Tempi cinematografici. Tempi dello sfruttamento. “Modern Times”

di Giovanni Invitto

Il film del 1936 di Charlie Chaplin è un punto fermo nella storia del cinema. Questa riflessione prende ad oggetto i “tempi”, secondo dei due termini del titolo inglese, solo per porre alcune domande che, probabilmente, non aggiungeranno alcunché a tutto quello che si è già scritto su questo film, ma che potrebbero riverificare il discorso ad oltre settant’anni di distanza.

Perché Modern Times? Quali sono i tempi di cui Chaplin vuole parlare? È il tempo della grande depressione americana? Il tempo dell’automatismo e dell’ingranaggio umano? O sono i tempi del cinema su cui si soffermeranno tanti critici ed intellettuali? Crediamo proprio che il primo film (semi)sonoro di Chaplin, che è contemporaneamente l’ultimo film con il personaggio Charlot, sia un film sul tempo e sui tempi non solo nel senso sociologico e culturale.

Fu un film che evidenziò, in maniera immediata e per certi versi riproponendo un ritorno a modalità consolidate, una ulteriore rottura con la cinematografia imperante ed avanzante. Pensiamo che, nello stesso 1936, dall’America arrivavano in Italia La conquista del West, di C. B. de Mille, La fuga di Tarzan, di R. Thorpe, L’impareggiabile Godfrey, di G. La Cava, Margherita Gautier, di G. Cukor, Furia, di F. Lang, Giulietta e Romeo, di G. Cukor, La foresta pietrificata, di A. Mayo, È arrivata la felicità, di F. Capra, Sabotaggio, di A. Hitchcock. Sono tutti film rimasti, a pieno titolo, nella storia del cinema e dei “generi” cinematografici, ma Tempi moderni fu qualcosa di più e di diverso.

Quando nel 1945, Jean-Paul Sartre, insieme ai suoi amici – tra cui i più noti erano Simone de Beauvoir, Maurice Merleau-Ponty, Raymond Aron, Albert Camus – con i quali formava la cosiddetta École de Paris,volle fondare una rivista di engagement filosofico, culturale e politico, scelse come titolo quello del più famoso film di Charlie Chaplin, naturalmente tradotto in francese e con l’aggiunta iniziale dell’articolo. I biografi, tra l’altro ricordano, che Sartre aveva visto Modern Times il 12 aprile 1936, giorno di Pasqua. Nacque, così, “Les Temps Modernes”.  Non basta questo, però, a spiegare la scelta, poiché è nota l’ammirazione permanente di Sartre per l’“omino”  Charlot. Nella Apologie pour le cinéma. Défense et illustration d’un Art international, scritta tra il 1924 e il 1925 dal men che ventenne Sartre, leggiamo che

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