di Gianluca Virgilio
[Ripubblico qui il ricordo del mio incontro con Gianni Celati (Sondrio, 10 gennaio 1937 – Brighton, 2 gennaio 2022), appena scomparso.]
Il corpo è un organo per affondare nell’esterno,
come pietra, lichene, foglia.
Gianni Celati, Verso la foce,
in Romanzi, cronache e racconti, Mondadori, Milano 2016, p. 1061.
In questi giorni sto rileggendo l’opera di Gianni Celati nel Meridiano Mondadori appena pubblicato (gennaio 2016). Sono quasi duemila pagine (compresi gli apparati), nelle quali scorre l’intera vita dello scrittore, da Comiche a Selve d’amore, passando attraverso Le avventure di Guizzardi, La banda dei sospiri, Lunario del paradiso, Narratori delle pianure, e poi ancora Quattro novelle sulle apparenze, Verso la foce, Avventure in Africa, Cinema naturale, Fata morgana e Costumi degli Italiani I. Un volume del genere, come spesso i Meridiani, è un monumento più che un semplice libro. E sui monumenti non si discute; ci si può solo sedere alla loro ombra e lasciare che essi ci ispirino in qualche modo. Stare alla loro ombra, ovvero rileggere, come vado facendo in questi giorni. E’ così che mi sono venute in mente due giornate di dodici anni fa, quando ebbi modo di conoscere Gianni Celati.
Nel dicembre del 2002 io ed Enrico De Vivo avevamo fondato una rivista online dal titolo leopardiano Zibadoni e altre meraviglie (Zibaldoni.it) e dopo un anno e passa di lavoro, durante il quali si erano uniti a noi molti scrittori, ci eravamo dati appuntamento a Frascati, nella sala delle Scuderie del Palazzo Aldobrandini, per un convegno di due giorni, sabato 31 gennaio e domenica 1° febbraio 2004. Erano venuti Andrea Di Consoli, Novella Bellucci, Franco Arminio, Andrea Cortellessa, Paolo Morelli, Livio Borrello, Antonio Prete, Marianne Schneider, Gianni Celati ed altri. Io e Ornella avevamo raggiunto Frascati nella tarda mattinata di sabato, in compagnia di uno scrittore di Latiano, Elio Paoloni. Il primo incontro pubblico, durante il quale Celati avrebbe dovuto parlare di Leopardi, era previsto per il pomeriggio. Fu lì che Enrico me lo presentò, al termine di una lettura appassionata e personale del recanatese: mi sembrò che Celati leggesse i pensieri dello Zibaldone come se li avesse scritti lui stesso, una parte dell’opera sua. Poi andammo a cena tutti insieme e fu lì che si poté parlare delle nostre cose.