Può darsi. Ma a volte l’adozione dei termini inglesi in contesti italiani richiama le grida di un venditore al mercato: gridando il venditore cerca di rendere allettante la merce, invita all’acquisto. Gli anglicismi somigliano a decorazioni che impreziosiscono il messaggio, che senza quello scintillio parrebbe banale. Si teme che una comunicazione esclusivamente in italiano possa depotenziare il messaggio, deprivandolo dell’abbellimento intrinseco assicurato dell’anglo-americano, lingua internazionale e alla moda. Le parole inglesi sono un ornamento, non sono lì per comunicare. Mi colpisce la pubblicità di profumi costosi che appare in questi giorni sugli schermi televisivi. Si sentono solo frasi inglesi e si vedono solo affascinanti giovani donne, con il logo del profumo pubblicizzato. Non si punta a farsi capire, l’invito a comprare è implicito nell’uso della lingua straniera e nell’immagine di donne bellissime.
Tutto considerato, aumentano le perplessità. È davvero difficile parlare e scrivere interamente in lingua italiana? È davvero necessario farcire l’italiano con termini stranieri rischiando di risultare incomprensibili a una fetta consistente della popolazione? Mi chiedo: coloro che intendono sottrarsi alla predominanza dell’inglese sono solo individui retrogradi e anziani riottosi, ottusamente contrari all’utilizzazione dell’inglese? Non è così. Ci sono ragioni validissime per contrastare l’immissione smodata dell’inglese nella lingua italiana. Ragioni analiticamente trattate in un articolo di Claudio Giovanardi intitolato «La decrescita (infelice) dell’italiano».
Una fondamentale conseguenza dell’abuso dell’inglese nella comunicazione in italiano, pubblica e privata è l’impoverimento del nostro lessico. Sempre più spesso parole inglesi vengono usate in forma esclusiva o prevalente, si perdono le corrispondenti forme italiane. Oggi riscuote grande successo il verbo «spoilerare». La parola, nata dall’accostamento del suffisso verbale «-are» al vocabolo «spoiler» (connesso con «spoil» ‘rovinare’), è usata per segnalare l’anticipazione fastidiosa dei punti salienti di un film, del risultato di una partita di calcio e così via. Di fatto l’anglicismo ha fatto retrocedere parole come preannunciare, rivelare, raccontare, svelare e altre. Spoilerare è parola-cannibale, derivata dall’inglese, che mangia altre italiane. Non è un caso unico. Pensiamo a «location (invece di luogo, ambiente, sito), «call» (invece di invito a comunicare in un congresso), «cooling break», sentito durante i campionati europei di calcio (invece di pausa rinfrescante), «sottomettere» (calco dall’inglese «to submit», invece di sottoporre, proporre, consegnare, inviare), ecc. Parole inglesi o di origine inglese che ingoiano quelle italiane. E il nostro lessico si impoverisce, si perde la bellezza della variazione, ne risulta favorita la nascita di stereotipi triti e sempre uguali. Spesso poco comprensibili.
Anche senza trattati o patti tra gli stati, senza imposizioni politiche. Pur se un piano politico fu lucidamente esposto da Winston Churchill il 6 settembre 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale. In occasione della “laurea honoris causa”che l’università di Harvard gli aveva conferito, Churchill spiegò i vantaggi di un imperialismo “per via linguistica”, basato sulla capillare diffusione dell’inglese, che avrebbe rimpiazzato l’imperialismo coloniale otto-novecentesco. Una lingua mondiale costituisce un vantaggio inestimabile, per chi la possiede per nascita. Ne derivò la proposta di costituire un comitato per la diffusione mondiale del Basic English (inglese di base), un piccolo contingente di parole da diffondere nel mondo intero. In totale circa 650 nomi e 200 verbi (o altri parti del discorso), possono essere contenuti in pochi fogli di carta. Nuovo strumento di colonizzazione, «questi piani offrono guadagni ben migliori che portando via le terre o le provincie agli altri popoli, o schiacciandoli con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono gli imperi della mente».
Solo un commento: cosa ne pensano i colonizzati?
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 2 gennaio 2022]