L’esuberanza di Russo non sempre, però, è forza pronta allo scontro. Così come ciò che può sembrare timidezza e cedimento in Capitini non è tendenza alla resa. Semmai, per certi aspetti, è il contrario nell’un caso e nell’altro. Più incline ad adeguarsi alle circostanze politiche Russo, che in buona sostanza passa senza danni attraverso il fascismo; nessun cedimento da parte di Capitini, che perciò fu allontanato dalla segreteria della Scuola Normale avendo rifiutato la tessera del Partito fascista e successivamente conobbe perfino il carcere. Furono entrambi diversamente antifascisti e anticlericali e pagarono sia durante il fascismo sia dopo. Dopo, a Russo fu tolta la direzione della Scuola Normale di Pisa dal ministro democristiano Guido Gonella dopo che lo studioso aveva aderito al Partito comunista e a Capitini dallo stesso ministro l’incarico che aveva a Perugia all’Università per stranieri. A conferma del fatto che Russo cercasse poi un modus vivendi col “nemico”, come aveva fatto durante il fascismo, c’è il suo giudizio sul ministro democristiano: “grazie a Gonella, si comincia a studiare sul serio” (lettera dell’11.XI.1949).
Eppure, sostengono i due curatori del carteggio, Russo e Capitini erano d’accordo su molte cose non irrilevanti, al punto di poter dire che fra i due ci fosse una sorta di “concordia discors”. Interessi comuni erano la difesa della scuola pubblica, l’anticlericalismo e l’antifascismo.
Il carteggio risulta asimmetrico. Più innervato di giudizi e informazioni sui fatti e sulle persone quello di Russo, più legato alle cose proprie quello di Capitini. Dalle lettere di Russo vien fuori la personalità di un uomo forte e di uno studioso molto sicuro di sé. Ironico e tranciante. Alcuni esempi gustosi, se così si può dire. Di Giorgio Colli, traduttore di Nietzsche, che veniva raccomandato da un politico democristiano per un incarico di insegnamento, oltre che liquidarlo con “un certo Colli”, dice: “si era presentato a casa mia e mi aveva fatto una pessima impressione” (lettera del 22 marzo 1949). E a proposito di Silvio Pellegrini, docente di letteratura italiana a Heilderberg, dice che è un “poverissimo in sé, [e che] non può che sprofondare ancora più in basso” (lettera dell’11.XI.1949). “A Pisa, tutte le torri sono pendenti” dice metaforicamente nella stessa lettera. Da questa sua tendenza a picconare certo non si nasconde. “Non so degli umori della Scuola Normale; credo che vi domini sempre il regime clerico-massonico, perché io son sempre pessimista” dice nella lettera del 16.10.1959.
Di tutt’altra tempra Capitini, il quale dimostra di essere un vulcano di idee e di iniziative. Al Russo doveva apparire come un visionario, un mistico, un “fra Ginepro”, da associare a Giorgio La Pira (lettera del 16.V.1949). Invece Capitini è tanto mite e rispettoso all’esterno quanto forte e coerente all’interno. Uno che non mollava. Studioso e autore di opere fondamentali fra religione e sociologia, egli ha dato vita a numerose iniziative politiche in favore del vegetarismo e della nonviolenza. Fra le tante, la Marcia per la pace e la fratellanza dei popoli, che si tiene a distanza variabile di anni da Perugia (città di Capitini) ad Assisi (città di San Francesco), di cui quest’anno si è celebrato il 60° anniversario.