A dieci anni dalla morte ricordo di Andrzej Nowicki

Quando lo rividi, non lo riconobbi subito. Mi accorsi di una persona anziana che mi sorrideva e ci misi qualche frazione di secondo per riconoscere in quel signore un po’ curvo e con la testa enorme incassata nelle spalle, chiuso in un liso impermeabile d’un colore stinto, il Nowicki che avevo conosciuto sedici anni prima, alto, slanciato e imponente. Da quel secondo incontro nacquero amicizia, corrispondenza e collaborazione, durate fino alla morte. Mai, però, empatia completa: eravamo ideologicamente e politicamente molto distanti. Era marxista convinto, un po’ meno comunista e tanto tanto massone; era stato gran maestro dell’ordine universale. Il nostro sodalizio – perché comunque tale fu – aveva basi solide nel rispetto e nella stima personali.

Divenni il suo fiduciario, uno dei suoi tanti corrispondenti dall’Italia. Più volte mi passò scritti, articoli, saggi e negli ultimi tempi anche poesie, da mettere in un italiano più corretto e spesso mi chiedeva delucidazioni sul significato di alcune parole italiane delle quali trovare le corrispondenti in polacco. Ricordo in particolare “eppure”, per fargli meglio comprendere che cosa volesse dire Galileo quando la usò nella sua celebre espressione “Eppur si muove”; e “spaccio” che è nel titolo di una delle più celebri opere di Giordano Bruno, “Lo spaccio della bestia trionfante”. Mi chiese tutti i possibili significati di queste due parole, rimanendo solo parzialmente convinto di “eppure”, che per lui era incomprensibile. Come conciliare un’abiura appena fatta con un “eppure” avversativo che la metteva in discussione? Per le poesie non amava l’enfasi e la retorica, preferiva uno stile sobrio e diretto: “Per me la poesia – mi disse una volta – è oggetto di culto”.

Fui io a contattarlo nel 1985 approssimandosi il Convegno per il 400° anniversario della nascita di Vanini. Sapevo che lui era cittadino onorario di Taurisano e che avrebbe partecipato all’importante evento celebrativo che si sarebbe svolto nell’ottobre di quell’anno fra Taurisano e Lecce. Nel Salento è poi venuto altre volte. Nel 1996 fu a Casarano per l’inaugurazione del busto di Vanini al Liceo Scientifico allo stesso intitolato. Nella circostanza tenne la relazione “Vanini e la Respublica literaria”. A tavola mangiava di gusto, sia nei pranzi ufficiali, come quello al Circolo Cittadino di Lecce, sia in ritrovi informali fra giovani commensali taurisanesi.

Visse il passaggio della Polonia dal comunismo alla libertà e alla democrazia con non poco disagio, avvertendo da un lato il miglioramento della vita singola e sociale, ma dall’altro il ritorno delle antiche forze che il comunismo si era invano adoperato ad annientare definitivamente.

Vantava origini importanti. Diceva di discendere da una nobile famiglia sarmata, come dire: “fedele alla tradizione”, come egli stesso mi spiegò in una lettera nella quale mi dava tutti i significati assunti nella storia da questa parola. Nello stesso tempo era convinto interprete della più egualitaria delle ideologie, quella comunista. Era antinazionalista ma nello stesso tempo era orgoglioso del suo essere polacco. Era molto formalista, al punto che non gradiva che il suo nome comparisse in uno stesso scritto in cui ricorressero i nomi di persone a lui invise. Evitava perfino di nominare per intero il nome di Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), limitandosi, se proprio non poteva farne a meno, a dire “papa”, “connazionale” e a mettere le iniziali “KW”, quasi fosse per lui una bestemmia nominarlo. Probabilmente, il silenzio sullo straordinario pontefice polacco nasceva da una sua avversione forte e autentica, essendo lui ateo e anticlericale, e perché sapeva quanto la chiesa “politica”, secondo lui, aveva prodotto di male in Polonia. Sul suo ateismo e anticlericalismo era incrollabile. “Dalle mie ricerche – mi scrisse in una lettera – risulta, che cominciando dal «battesimo della Polonia» nell’anno 966 (cioè 1040 anni fa) l’attività della Chiesa cattolica è stata nefasta per la Polonia”. Detestava “Radio Maria”. Per lui essa era “«un deplorevole esempio dell’islamizzazione del cattolicesimo polacco, una seminatrice dell’oscurantismo, primitivismo, fanatismo, odio confessionale, nazionale, politico, della quale dovrebbe vergognarsi la Chiesa polacca”. E tuttavia confessava, quasi a non limitare all’aspetto religioso i guasti della Polonia, di non sentirsi “avversario intellettuale di «Radio Maria», perché essa [era] al di sotto del livello di discussione. Del resto «Radio Maria», con i suoi tre o quattro milioni di ascoltatori, è un fatto marginale e folcloristico. Il vero male si trova altrove”.

Mai nel corso della Polonia comunista Nowicki aveva fatto accuse al suo governo. Con la restituzione del Paese alla democrazia non nascondeva amarezza e delusione per come le cose si erano messe anche per lui. “I miei libri – mi scrisse – sono stati scaraventati fuori da tutte le biblioteche pubbliche e dalle librerie. Godo fama di essere il principale avversario intellettuale di tutte le religioni istituzionalizzate degli ultimi sessanta anni in Polonia”.

Nemico di tutte le religioni in effetti Nowicki lo fu, fondò e diresse per trentatré anni la rivista “Euhemer”, che si occupava appunto di religioni; ma finì per essere un adepto inflessibile della sua religione, il materialismo, e della sua liturgia, il radicalismo.

[“Presenza taurisanese” anno XXXIX – n. 11-12, nov-dic 2021, p. 6]

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