Il filosofo mai veramente postcomunista
di Gigi Montonato
Il 1° dicembre del 2011, dieci anni fa, dopo lunga malattia, moriva a Varsavia nella sua casa di via Dante, il filosofo polacco Andrzej Nowicki, poliedrica figura di studioso, cittadino onorario di Taurisano per i suoi studi su Giulio Cesare Vanini. La sua malattia e la sua morte ricordano il calvario del suo conterraneo Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II, morto sei anni prima, nel 2005, dopo una lunga e a tratti penosa sofferenza. Vivi entrambi fino all’ultimo ed entrambi operosi! Ma l’accostamento del suo nome a quello del grande papa polacco a Nowicki non sarebbe piaciuto. Dirò dopo le ragioni.
La sua ultima mail inviatami, 14 agosto 2011, tre mesi e mezzo prima della morte, riferiva della sua drammatica condizione di salute: “Caro Luigi, sono stato in due ospedali, ma tornato a casa, sono stato costretto a trasformare pure la mia casa in un piccolo ospedale pieno di medicamenti, fasciature e strumenti di torture mediche. […]. La malattia mi martirizza già da due mesi e mezzo, ma non tocca il cervello, ho scritto centinaia di pagine filosofiche e decine di poesie”.
Ci eravamo conosciuti la sera del 13 dicembre 1969 a Lecce, alla Casa del Mutilato, dove tenne la conferenza “Vanini e il paradosso di Empedocle”, che chiudeva l’anno delle Celebrazioni Vaniniane per il 350° anniversario della morte del filosofo di Taurisano arso a Tolosa nel 1619. A quell’incontro seguì un lungo periodo di silenzio. Ci rivedemmo nel 1985 a Lecce, in occasione del Convegno per i 400 anni della nascita di Vanini, organizzato dal Comune di Taurisano e per l’Università degli Studi di Lecce dall’Istituto di Storia della Filosofia diretto da Giovanni Papuli.