Accanto alle prose del primo periodo, caratterizzate da una forte tensione conoscitiva, vi sono quelle che risalgono agli anni 1950-’54, in cui l’intensità inventiva convive con una dimensione più distesamente narrativa. In esse, se talvolta emerge il gusto della rievocazione di fatti e personaggi, in particolare di alcune significative figure femminili e del variegato mondo letterario spagnolo, con una netta predominanza della figura di Lorca, talaltra campeggia la riflessione sulla presenza della morte o il motivo dell’horror vacui, assai caro allo scrittore.
Pertanto, la raccolta si configura come una progressiva immersione, da parte di Bodini, nelle strutture più profonde della «Spagna nera», che va di pari passo con un recupero sempre più sistematico delle proprie radici, traducendosi in uno scavo nell’inconscio collettivo del suo popolo (a questo proposito si rimanda alle cosiddette prose “leccesi” raccolte in Barocco del Sud, a cura di A. L. Giannone, Nardò, Besa, 2003), portando alla comprensione di come Spagna e Salento non siano altro che il «simbolo di una più generale e dolente condizione umana» (p. 10). Condizione che, come avverte Giannone, non riguarda i singoli individui, ma si caratterizza come uno stato d’animo collettivo e ancestrale, radicato nei due popoli attraverso le comuni origini arabe e determinato anche dalla posizione marginale in cui sono stati relegati dal flusso della grande storia, condannati a rimpiangere un passato glorioso. Questi scritti costituiscono sicuramente uno dei vertici più alti della produzione dell’autore, da una parte per il loro valore autonomo, frutto dell’acutezza dell’indagine portata avanti e del carattere estremamente immaginoso e accesamente metaforico dello stile, ma dall’altra anche perché rivestono un ruolo fondamentale ai fini della comprensione dell’opera e del pensiero di Bodini nella sua globalità, con particolare riferimento alla «stagione centrale della sua poesia, quella de La luna dei Borboni, di cui anzi, a giudizio di Oreste Macrì, insieme con le prose “leccesi”, costituiscono il “segreto infernale”» (ibid.).
Tuttavia, questa seconda edizione del Corriere non presenta soltanto un aggiornamento bibliografico dell’Introduzione, ma anche un’Appendice con quattro lettere inedite inviate da Bodini dopo il suo arrivo in Spagna a tre letterati con cui era in contatto: il critico Enrico Falqui, Giuseppe Ungaretti e il critico e scrittore Giacinto Spagnoletti. Si tratta di un arricchimento importante, dal momento che ad esse si può attribuire un significativo valore metaletterario, che può fornire una valida chiave di interpretazione dei suoi scritti. In effetti, queste lettere possono essere considerate una premessa della raccolta, poiché veicolano le impressioni suscitate dal primo contatto con la Spagna, ritenuta una seconda patria e «forse la prima in un certo senso» (Lettera III a Giacinto Spagnoletti, p.34), preannunciando quella compenetrazione tra l’elemento salentino e quello ispanico che sarà la fonte della più fervida ispirazione bodiniana.
[Recensione a Vittorio Bodini, Corriere spagnolo (1947-1954, a cura di Antonio Lucio Giannone, Nardò, Besa Editore, 2013 – ISBN: 978-88-497-0775-5, pubblicata in “Oblio”, Anno III, n. 12, Dicembre 2013, pp. 101-102.]