a cura di Adele Errico
Lei che non tocca mai terra è una fiaba oscura. Ogni fiaba ha degli aspetti oscuri che lasciano addosso un senso di orrore profondo, arcano. Cosa ti affascina di più delle fiabe? Soprattutto delle due fiabe che fanno da “sottofondo” ai tuoi due romanzi?
Mi affascina proprio questa profondità di cui parli: come se fossero narrazioni collettive, iniettate sottopelle sin dalla nascita – viene da pensare che ogni umano sia connotato da una qualche ghiandola pineale all’interno della quale risiede un database di fiabe che avremo per sempre al nostro interno. Qualcosa del genere. Ma insomma: vicende come La bella e la bestia o La bella addormentata nel bosco ci riguardano un po’ tutti, in qualche modo, a mio parere. Ci si può sentire Belle o Bestia; ci si può sentire addormentai in attesa di essere svegliati o figure salvatrici dotate di baci portentosi – o, se si pensa alle versioni disneyane di queste storie, ci si può sentire Malefica, o Gaston, rosi dall’invidia e dal disamore (a me capita spessissimo). Poi, va be’, c’è un dato di realtà biografico che non mi fa uscire fuori dal sistema narrativo fiabesco: il primo libro che mi è stato letto (e poi il primo libro che ho letto da solo) è stato Pinocchio, dalla voce di mio padre. Da quando mio padre è morto torno spesso a quelle pagine, perché avviene un processo necro(ro)mantico: è come se riemergesse la sua voce. La fiaba, dunque, per me, corrisponde a un atto di rievocazione spiritica. Ma è ’na cosa mia, me ne rendo conto – che sembra pure un bel po’ strana, forse.