In settantadue anni l’Italia ha cambiato completamente la sua fisionomia. Per certi aspetti ha cambiato anche identità. La mutazione antropologica vaticinata da Pasolini si è realizzata. E’ cambiata la politica, l’economia, il linguaggio; è cambiato il senso che si attribuisce alle storie e alle cose; è cambiato il nostro modo di pensare, sono cambiati i valori di riferimento. E’ cambiato il secolo e il millennio. Non esiste più nulla dell’Italia che era quando Nunzio Filogamo annunciò agli “ amici vicini e lontani” l’inizio del festival. 1951. C’erano ancora le macerie della guerra. Forse, allora, il festival ebbe un senso sociale: spensierava. Non esiste più nulla dell’Italia che era nemmeno al tempo in cui Luigi Tenco si sparò un colpo alla tempia fra i fiori e i lustrini di Sanremo. 1967. Salvatore Quasimodo disse che con quel suo gesto aveva voluto colpire a morte il sonno mentale dell’italiano medio. Ma l’italiano medio si strinse nelle spalle.
Molte cose sono cominciate e finite mentre il festival restava identico a se stesso. Come una figura sulla facciata di una chiesa barocca. Bella o brutta secondo il gusto di chi la guarda. Immobile, indifferente a tutto quello che accade e che passa. Bella o brutta, ma alla quale comunque si rivolge uno sguardo, con la consapevolezza che si tratta di qualcosa che appartiene al passato, che non vuol dire in alcun modo che poi sia necessariamente peggiore di qualcosa che appartiene al presente. Che il festival appartenga al passato, probabilmente è indiscutibile. Ma si potrebbe anche pensare che il festival non ha mai voluto essere attuale. Non accetta e non sopporta le interferenze del presente. Forse ha sempre voluto essere una grande evasione, come dice il titolo di un libro di Gianni Borgna.
La grande narrazione sociale di Sanremo si ferma alla fine degli anni Ottanta. Fino a quel tempo il festival fa parte della storia del costume, dopo quel tempo non più. Dopo quel tempo diventa soltanto una delle tante rappresentazioni della ripetizione della storia. Ma non si stratifica, non si trasforma in memoria. E’ immobile e indifferente, come la figura sulla facciata barocca.
Una volta è stato il simbolo di un’Italia che indossava il vestito della festa, che si identificava nelle vicende d’amore malinconico che le canzoni raccontavano.
Le stagioni vengono e vanno. Ma mai quella stagione che viene è uguale a quella che è andata.
Solo la stagione di Sanremo è sempre uguale.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 19 dicembre 2021]