La Spagna come metafora nell’opera di Vittorio Bodini e Leonardo Sciascia

Il percorso umano e letterario di Bodini è quindi significativamente suddiviso in “quattro vite”,[4] ciascuna delle quali fortemente contrassegnata dal legame con una città: Lecce, Firenze, Roma e Madrid. Lecce è in un primo momento il luogo della formazione e dell’adesione al futurismo, che si configura soprattutto come una forma di reazione all’ambiente conformista e arretrato della provincia, considerata la persistente matrice crepuscolare e intimista del poeta.[5] L’evoluzione passa poi attraverso il soggiorno fiorentino e quello romano, connotati dall’attraversamento e sal superamento dell’esperienza ermetica e dall’assimilazione delle più diverse tendenze poetiche contemporanee, come il surrealismo.

La svolta nodale è costituita senza dubbio dall’immersione del poeta «nell’inconscio popolare e collettivo della Spagna», che protraendosi dal 1946 al ’49 lo conduce anche all’esplorazione di quella «condizione dell’anima» costituita dalla sua terra, da cui scaturisce la costruzione del mito della «città barocca vedova del suo tempo».[6]

Anche Sciascia, da parte sua, ha intrattenuto un rapporto controverso con la sua “sicilitudine”, di cui ha messo puntualmente in evidenza i mali, pur nella consapevolezza di non esserne esente e quindi senza cadere in quella “trappola del sicilianismo” che aveva spesso spinto gli scrittori siciliani ad un eccesso di “carità di patria” nell’analizzare i tratti negativi del loro popolo. Nonostante egli considerasse la sua Racalmuto-Regalpetra[7] come «l’osservatorio migliore per cogliere le trasformazioni della vita sociale, e i suoi compaesani (e in particolare i contadini più anziani e semi-analfabeti) come gli interlocutori più affidabili, dai discorsi dei quali poteva raccogliere insospettabili lampi di verità»,[8] Sciascia era consapevole della necessità di una “giusta distanza” per poter osservare in maniera oggettiva la sua terra. [9] Pertanto, un po’ alla maniera dei viaggiatori stranieri delle Lettere persiane di Montesquieu, i due intellettuali cercano di acquisire un certo distacco nei confronti del proprio paese e trovano tale distacco proprio grazie alla Spagna. La Spagna viene a rappresentare così una sorta di “lente d’ingrandimento”, una “scorciatoia formativa” che consente un pieno recupero dell’identità culturale e una riappropriazione del proprio essere provinciali.

Questa maturazione è dimostrata anche dal contributo che questi due autori hanno dato alla crescita culturale delle loro terre, attraverso l’attività di direttori di rivista: rispettivamente “L’Esperienza poetica”[10] per Bodini e “Galleria”[11] per Sciascia. Proprio in virtù di questo ruolo, Bodini e Sciascia ebbero modo di entrare in contatto epistolare[12], come testimonia una lettera scritta dal racalmutese del 12 giugno 1954, in cui dice: «Avrei voluto scriverle anche per proporle uno scambio tra “Galleria” (che le spedisco a parte, insieme ai primi tre libretti di una collezioncina di quaderni) e “L’Esperienza poetica”».[13] Inizia così una corrispondenza tra i due autori, più fitta nel periodo che va dal 1954 al 1957, ma che si prolunga fino al 1960 comprendendo 77 pezzi, tra lettere, biglietti e cartoline postali[14] ed è volta soprattutto al raggiungimento di una proficua collaborazione a vantaggio delle rispettive riviste, con particolare riguardo ai comuni interessi verso la letteratura spagnola.

Da questo carteggio emergono, infatti, due principali motivi di interesse. Da una parte si tratta di una testimonianza di quella “cospirazione provinciale”,[15] cioè di quella “situazione nuova” costituita da una tendenza di rinnovamento, di cui “L’Esperienza poetica” si fece portavoce. Tale rinnovamento doveva partire proprio dalla provincia, non intesa come espressione “campanilistica”, ma come portatrice di istanze concrete e autentiche rispetto all’astrattezza e all’artificiosità dell’identità nazionale e quindi espressione di una “terza via” sperimentale nel dibattito tra postermetismo e neorealismo che si era sviluppato nel secondo dopoguerra. Ciò è testimoniato da una lettera di Bodini a Sciascia: «È sorprendente che un tale volume di interessi letterari passi oggi fra Racalmuto e Lecce, poniamo, e su un piano di dignità ormai ignoto ai grandi centri nazionali. Ho l’impressione che stiamo lavorando a creare una situazione nuova!».[16] Una via di sperimentazione letteraria che sarà poi proseguita dalla più famosa rivista bolognese “Officina” di Leonetti, Roversi e Pasolini e dal “Verri” di Anceschi.

Dall’altra parte, invece, il carteggio si rivela particolarmente interessante in quanto documenta l’apertura dei due letterati alle influenze della cultura europea. Una tendenza comune a molti intellettuali del tempo, impegnati nella traduzione di opere di autori provenienti da ogni parte non solo d’Europa, ma anche del mondo.[17] Per citare le parole di Cesare Pavese, gli intellettuali italiani in quel periodo scoprirono l’Italia «cercando gli uomini e le parole in America, in Russia, in Francia, nella Spagna».[18] Anche Bodini e Sciascia, in un certo senso, “scoprono” la loro terra attraverso la riflessione su autori stranieri e in maniera specifica sulla letteratura spagnola. Questa comune passione, che costituisce tra l’altro un filo conduttore dell’intero scambio epistolare, sfocerà in una serie di iniziative, le più significative delle quali sono un numero di “Galleria” interamente dedicato alla letteratura spagnola contemporanea, curato da Bodini, e il progetto di una collana dedicata alla cultura mediterranea.

Tuttavia se il numero monografico di “Galleria” vide la luce nel 1955, annoverando testi di Luis Cernuda, Dàmaso Alonso, Carlo Bo, Pedro Salinas, Blas de Otero, José Hierro, Gabriel Celaya, Carlos Bousoño, José Maria Valverde e Vicente Gaos,[19] la realizzazione della collana – che si sarebbe poi intitolata “Mediterranea” e sarebbe uscita per la casa editrice di Salvatore Sciascia – pur partendo da un’idea proposta proprio da Bodini,[20] sarebbe stata portata avanti dal solo Sciascia.[21]

Non bisogna dimenticare che la promozione per la diffusione della conoscenza della letteratura spagnola in Italia passa anche attraverso gli studi e le attività di traduzione dei due autori. Occorre però puntualizzare che, mentre Bodini è stato un ispanista a tutto tondo, avendo ricoperto la cattedra di Letteratura spagnola nel corso di Lingue e letterature straniere presso l’Università di Bari a partire dal 1952 ed essendosi dedicato a importanti e impegnativi progetti di traduzione, Sciascia può essere a buona ragione considerato un autodidatta poiché lui stesso affermò di aver appreso lo spagnolo leggendo le opere di Ortega y Gasset.[22]

La produzione di Bodini ispanista è molto vasta e spazia dalle traduzioni agli studi monografici, manifestando un interesse che si concentra in particolare su due periodi: la stagione barocca e quella del surrealismo. Non a caso se si considera che il periodo barocco ha costituito il siglo de oro non solo per la Spagna, ma anche per la sua Lecce.[23] Tra le traduzioni si possono ricordare il Don Chisciotte di Cervantes, i Sonetti amorosi e morali di Quevedo, il Teatro di Lorca – solo per citare le maggiori – a cui vanno aggiunti i lavori monografici su Góngora, Calderón e la selezione antologica sui poeti surrealisti.[24] Anche Sciascia, da parte sua, si cimentò nella traduzione dapprima di componimenti di limitata estensione, come il lorchiano Llanto por la muerte de Ignacio Sánchez Mejías o il poema Lampedusa di Guillén, e poi di un’intera opera con La velada en Benincarlò di Manuel Azaña per la casa editrice Einaudi.

Oltre a questo tratto di animatori della cultura provinciale, attraverso l’attività di direttori di rivista e l’apertura alle influenze della cultura europea, Bodini e Sciascia presentano ulteriori aspetti comuni poiché entrambi mettono la Spagna al centro di due opere che possiamo definire “odeporiche”, in quanto scaturiscono dal contatto diretto con il territorio iberico: Corriere spagnolo e Ore di Spagna.

Il Corriere spagnolo raccoglie un gruppo consistente di reportages e prose, dalla storia editoriale abbastanza complessa. Infatti, questi componimenti, frutto della fondamentale esperienza del viaggio, sono comparsi a varie riprese su diverse riviste e quotidiani tra il 1947 e il 1954 e quindi sia nel periodo della permanenza madrilena[25] che dopo il ritorno in Italia.[26] Quest’opera costituisce un «“singolare” taccuino di viaggio» in cui l’esplorazione del paese straniero va di pari passo con la «“riscoperta” delle proprie radici e della propria terra».[27] Il modello del reportage, infatti, è solo un punto di partenza dal quale Bodini trae spunto prendendo in considerazione gli aspetti più tipici delle tradizioni spagnole, come il flamenco, la corrida, i serenos e molti altri, che non vengono però messi al centro dell’osservazione tanto per la loro peculiarità esteriore e manifesta, quanto piuttosto per il loro costituire delle chiavi di lettura privilegiate di quel “fondo oscuro dell’anima” che agita la dimensione invisibile e sconosciuta della Spagna come del suo Sud. Proprio per questo è possibile mettere a confronto le prose di argomento spagnolo con quelle “salentine”,[28] poiché esiste una certa continuità di tematiche e una grande somiglianza nel “metodo d’indagine” utilizzato dall’autore nel suo scavo nell’inconscio collettivo del popolo.

Così, attraverso un’accurata indagine condotta sulla base di una categoria interpretativa ricavata dall’osservazione delle manifestazioni più tipiche del folclore, Bodini arriva a comprendere che, tra le molteplici analogie e differenze, l’elemento realmente unificante tra il popolo iberico e quello salentino è il sentimento spiccatamente tragico della vita. Una pena del vivere che non interessa singoli individui, ma interi popoli e che probabilmente ha una radice storica da ricercare nel sentimento di esclusione che caratterizza i popoli emarginati dal flusso della grande storia, impegnati più a contemplare e rimpiangere la grandezza di un tempo che a vivere il presente.[29] Tutto ciò sfocia in manifestazioni differenti, quali i movimenti “tellurici” del flamenco, le urla angosciose dei serenos,[30] la sfida contro la morte che anima le corride in Spagna da una parte e i lugubri lamenti dei carrettieri pugliesi e il Barocco leccese dall’altra, sfumature varie di un medesimo «viluppo inestricabile di pene segrete»[31] che trova sfogo nella spasmodica messa a tacere del vuoto esistenziale. In questo modo tali espressioni vengono a configurarsi come una sorte di “correlativo oggettivo” della sofferenza del vivere, ostentazioni esteriori volte alla messa a tacere del sentimento del nulla, l’horror vacui che attanaglia l’anima spagnola come quella meridionale.

Per quel che riguarda Ore di Spagna,[32] che si configura come una sorta di “viaggio” compiuto in dieci acuti capitoli accompagnati dalle suggestive fotografie di Ferdinando Scianna attraverso le «cose di Spagna», si tratta sicuramente dell’opera sciasciana in cui il riferimento alla Spagna è più sistematico. Tuttavia, considerato che l’amore dell’autore per la Spagna, la sua storia e la sua cultura, si rivela abbastanza precocemente e si alimenta in un arco di tempo più che quarantennale – dal 1945 al 1985 circa – è naturale che sia possibile rinvenire dei preziosi riferimenti anche nel resto della produzione del racalmutese, poiché è frequente il ricorso al parallelo tra i concetti di hispanidad[33] e sicilitudine, considerati «modulazioni tonali di un analogico comune sentire».[34]

Quindi, dal momento che al centro di buona parte dell’opera di Sciascia campeggia la riflessione sulla Sicilia e sui siciliani, ricorrenti sono i legami con la situazione spagnola, poiché «se la Spagna è, come qualcuno ha detto, più che una nazione un modo di essere, è un modo di essere anche la Sicilia; e il più vicino che si possa immaginare al modo di essere spagnolo».[35] Così, come in una specie di “gioco degli specchi”,[36] in tutta la sua opera la Sicilia si riflette nella Spagna e viceversa.

Spagna come Salento e Spagna come Sicilia, dunque, tanto che parafrasando lo Sciascia de L’antimonio potremmo dire che la storia spagnola si è realizzata attraverso un “ingrandimento” operato dal “Padreterno” proprio del Mezzogiorno italiano, tante sono le analogie e le somiglianze. I due autori, in effetti, pur non negando le differenze, sono propensi ad uno sguardo assimilante, sostenuto anche dalla consapevolezza di appartenere ad uno stesso contesto storico-culturale.[37] Le vicende storiche accomunano da sempre queste due terre, che hanno conosciuto una profonda influenza araba. Tutto ciò ha portato i due autori a sviluppare delle “tesi” per certi versi parallele sulla peculiare condizione esistenziale dei propri popoli.

Secondo Bodini, come abbiamo detto, sia nel Salento che in Spagna vi è un sentimento tragico della vita, che prende forma in diverse manifestazioni esteriori ma che ha origine dal simile senso di emarginazione che questi popoli hanno dovuto subire rispetto ai grandi eventi storici. Questa tesi trova un certo riscontro anche negli scritti del siciliano, poiché anche secondo Sciascia è stato proprio il susseguirsi degli avvenimenti storici a determinare il carattere dei siciliani, dominato dall’insicurezza, considerata tra l’altro da Castro una costante dell’hispanidad. Un’insicurezza implicata dal mare che circonda l’isola e nel corso dei secoli ha portato con sé diversi conquistatori, rendendo la Sicilia vulnerabile a qualsiasi azione politica e militare e influenzando di conseguenza il carattere dei siciliani, dominato dal fatalismo, dalla diffidenza e dall’incapacità di stabilire dei rapporti al di fuori degli affetti.

Le due posizioni presentano certi aspetti condivisi, ma bisogna considerare che Bodini ritiene che nella determinazione del carattere salentino sia fondamentale anche il paesaggio, metafisicamente opprimente, in cui un «altissimo cielo» sembra schiacciare ogni cosa, vegetazione compresa. Sciascia, invece, rifiuta l’idea che la «dimora vitale» abbia un’influenza nella formazione del carattere dei siciliani, probabilmente anche per sancire la sua posizione antigattopardesca e contraria a quell’«astrazione geografico-climatica» che era per l’autore la Sicilia di Tomasi di Lampedusa.

Ma ci sono molti altri punti di contatto nelle osservazioni scaturite dai due autori sulla propria realtà provinciale e su quella spagnola, come ad esempio la constatazione dell’“ossessione” nutrita nei confronti della donna e del “matriarcato” che domina i rapporti tra i due sessi. Bodini considera la «disarmonia dei sessi» imperante nel suo Sud come la causa principale di quest’ossessione, tanto che osserva: «Non c’è nessun paese dove si disegnino su tutte le superfici disponibili tante donne nude come nell’Italia meridionale»[38] e questa appare come una conseguenza dell’esistenza di

una quotazione segreta, una Borsa delle donne in ciascun paese, e quando con la maldicenza e l’ostilità esse pongono ripari o reagiscono alla caduta di un titolo, si può star certi che non lo fanno in nome di alti principi morali, ma per il danno che di riflesso ne deriverebbe alla loro quotazione.[39]

L’autore, infatti, mette in evidenza come sia in Spagna sia nel Meridione le donne siano scaltre e, pur facendosi passare per vittime, in realtà «con occulto dispotismo esercitano ogni effettivo potere, tenendo nel pugno la vita della società».[40] Questo è all’origine di quell’atrofia dei sentimenti che caratterizza il Sud, per cui anche l’amore si riduce ad una pura convenzione messa in atto sotto l’attenta “regia” delle madri, che allevano le figlie come “reclute” di un “corpo militare”. Perciò il problema del Mezzogiorno diventa il «problema della mezzanotte», dell’irriducibile incomprensione tra i due sessi che si traduce nella conduzione di una vita pressoché separata, alimentando una vera e propria ossessione per la donna.

Una caratteristica, questa, che viene messa in rilievo anche da Sciascia, secondo cui il dongiovannismo è una parte costante della sicilitudine che deriva dalla separazione a cui uomini e donne sono destinati sin dalla più tenera età, cosicché, come dice Brancati: «il vagheggiamento della donna è tale che non regge alla presenza di lei».[41] E lo stesso racalmutese sottolinea come all’origine di questa situazione vi sia uno «spaventoso conformismo sociale» tenuto in piedi da «un matriarcato sotterraneo, quasi invisibile» esercitato da madri e suocere.

Secondo Sciascia:

molte disgrazie, molte tragedie del Sud, ci sono venute dalle donne, soprattutto quando diventano madri. Le donne del Mezzogiorno hanno questo di terribile. Quanti delitti d’onore sono stati provocati, istigati o incoraggiati dalle donne! Dalle donne madri, dalle donne suocere. Eccole di colpo capaci delle peggiori nefandezze per rifarsi delle vessazioni da esse stesse subite durante la giovinezza, col ricorso a uno spaventoso conformismo sociale.[42]

Negli anni settanta però questa polemica antimatriarcale è stata erroneamente interpretata come una lotta antifemminista. In realtà, ciò che Sciascia condanna è quell’abuso di potere perpetrato ai danni delle stesse giovani donne, le quali hanno conosciuto una significativa liberazione in seguito allo sbarco alleato in Sicilia[43] che, portando il benessere e il consumismo, ha inferto un duro colpo al matriarcato poiché con la costruzione di nuove case «i figli (e le nuore) hanno abbandonato i vecchi focolari tirannici delle madri minandone, almeno in parte, il sistema di potere».[44]

E d’altra parte, alla base di tutti questi meccanismi sociali vi è l’enorme influenza esercitata dalla religione cattolica sulla morale e sui comportamenti, soprattutto in seguito alla rigida applicazione della mentalità controriformistica, fortemente sostenuta proprio dalla monarchia spagnola e messa in atto attraverso il “braccio” dell’Inquisizione, non solo in territorio iberico ma anche in quello del Reame.

La forte impostazione religiosa della società meridionale e di quella spagnola emerge anche nelle celebrazioni delle festività religiose. È interessante notare come le osservazioni suscitate ai due autori dalla partecipazione ai riti della Settimana Santa, anche se in due zone diverse – l’Escorial per Bodini e l’Andalusia per Sciascia – possano presentare dei punti di coincidenza. Entrambi, come si può leggere in Cristo sull’Escorial di Bodini comparso per la prima volta nel 1951 su “La Gazzetta del Mezzogiorno” e in un articolo di Sciascia del 1985 ora raccolto in Ore di Spagna, restano particolarmente colpiti da alcune differenze, come la presenza dei soldati alla processione, con elmi e fucili. Bodini, infatti, nonostante noti la somiglianza del simulacro del Cristo morto con quelli venerati nel suo Sud, sottolinea come appaiano una novità

i soldati che lo circondavano,in doppia fila, con gli elmi in capo e i fucili bilanciati nella destra scandendo un passo lento e marziale con un’aria di feroce cordoglio, come se fossero state le esequie d’un generale morto sul campo, in cui sia d’uopo manifestare fierezza per quella morte e insieme il proposito di vendicarla.[45]

Una presenza che conferiva un aspetto marziale al corteo e che sembrava però implicare allo stesso tempo fierezza e proposito di vendetta, sentimenti non proprio in linea con lo spirito cristiano.

Simile è l’impressione suscitata dalla visione dei riti della Semana Santa in Sciascia:

al ricordo della guerra civile del ’36-’39 ci riporta pure, a Granada, la sfilata in processione della polizia. Tra il fercolo col Cristo confortato dall’Angelo (e con San Pietro che dorme discosto) e quello della Madonna – un cono di spumeggiante ricamo bianco ed oro con al vertice una testa di bambina – la polizia sfila interminabilmente, generale e ufficiali che aprono la sfilata, ciascuno portando quella specie di alabarda che in Sicilia è delle confraternite artigiane. I lunghi fucili, nuovi o ben lubrificati, inclinati sulla spalla destra, la canna verso l’alto; le mitragliette corte e leggere impugnate invece dalle donne-poliziotto, il dito sul grilletto.[46]

Un altro elemento che attira la curiosità dei due autori è la saeta, un canto della famiglia dei canti gitani, la cui particolarità suscita diverse emozioni in Bodini, che ne mette in evidenza la violenza lacerante e la somiglianza ai canti del peccato e della passione: «si alzò un grido disperato di donna, oscillò come una freccia mal conficcata e tenace, che il vento non riusciva a scuotersi. Risultò che quel grido era un canto»;[47] e in Sciascia, che ne esalta il carattere sospensivo e di rapimento estatico: «dà l’impressione di un raptus – di un rapimento amoroso, sensuale e sessuale; di un deliquio estatico e, saremmo tentati di aggiungere, estetico».[48]

Comune a Bodini e Sciascia è infine l’ammirazione per gli scrittori spagnoli, e in particolare quelli della Generazione del ’27, che non restano soltanto degli esempi artistici e poetici, ma diventano dei veri e propri modelli civili, emblemi della ragione che non ha piegato la testa davanti alla violenza e alla brutalità. Un esempio su tutti è quello di Lorca fucilato, che secondo Bodini rappresenta un caso di «poesia pagata con la vita».[49] Era questo il titolo di un bellissimo articolo pubblicato dall’autore sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” nel 1953, in cui respingeva le varie ipotesi formulate su di una morte per “errore”, dovuta all’omosessualità del poeta o addirittura ad una faida familiare legata a motivi di interesse, e metteva in evidenza come la vera causa dell’assassinio fosse il suo Romancero gitano, proprio per la netta presa di posizione dell’«Andaluso universale» a favore degli oppressi contro i soprusi perpetrati dalla Guardia civile.[50]

La stessa passione letteraria si ritrova in Sciascia, per il quale ad esempio il Chisciotte era una di quelle poche opere a poter essere considerate patrimonio per l’umanità[51] e d’altra parte il “chisciottismo”, la volontà di lottare senza speranza di vittoria, si ritrova in molti dei suoi personaggi che lottano contro la mafia e contro la corruzione. L’interesse del racalmutese, tuttavia, si concentra soprattutto sulla letteratura del Novecento e in particolare sulla «splendida pleiade» rappresentata dai poeti della Generazione del ‘27, di cui ammira il sentimento di amicizia reciproca e il forte legame con il popolo e con la loro “terra insanguinata” dalla tragedia della guerra civile. Proprio grazie alla «Spagna della fraternità dei poeti, della fraternità dei poeti col popolo: col popolo che avrebbe dato inizio alla Resistenza europea»  Sciascia riesce a trovare ragioni al suo «istintivo antifascismo», dando «poesia alle idee».[52]

In questo modo appare evidente il filo rosso che collega questi due autori “provinciali” a quella terra che per diversi secoli era stata la capitale del loro “Reame”. La Spagna acquisisce nella loro ricerca la valenza di una metafora, che ha la funzione di consentire una comprensione più profonda realizzata anche attraverso la proiezione dei “metaforizzanti” tratti salienti dell’anima iberica sulla “metaforizzata” dimensione del Mezzogiorno e nella variante salentina di Bodini e in quella siciliana di Sciascia.

[Il saggio è stato pubblicato in “Oblio”- Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Otto-novecentesca, Periodico trimestrale on-line, codice ISSN: 2039-7917, Anno III, n. 9-10, Giugno 2013, pp. 78-88.]


[1] Il Corriere spagnolo è costituito da una raccolta di reportages di argomento spagnolo curata da A. L. Giannone, poiché il poeta, che più volte aveva manifestato il desiderio di raccogliere le sue prose in un volume unitario, non riuscì mai  a portare a compimento il suo progetto, probabilmente trattenuto dalla difficoltà di trovare un filo conduttore che le unificasse. A questo proposito si veda inoltre A. DOLFI, Autobiografia e racconto: storia di una scrittura negata, in AA. VV.,Le terre di Carlo V, Galatina, Congedo, 1984, pp. 425-456.

[2] V. BODINI-L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio (1954-1960), a cura di F. Moliterni, Nardò, Besa, 2011.

[3] V. BODINI, Lettera pugliese, in Panorama dell’arte italiana, a cura di M. Valsecchi e V. Apollonio, Torino, Lattes, 1951, p. 169.

[4] Per citare l’espressione utilizzata da D. Valli nell’introduzione a  A. L. GIANNONE, Bodini prima della «Luna», Lecce, Milella, 1982, p. 10.

[5] Ivi, pp. 17-40.

[6] Ivi, p. 66. D’altra parte, come affermò Macrì, fu proprio il soggiorno madrileno a riattivare e formalizzare «l’ancestrale-inerte sostrato salentino», in O. MACRÌ, Poesia grafica di Vittorio Bodini, in “L’Albero”, fasc. XX, n. 51, 1974, p. 76.

[7] Il toponimo Regalpetra è un’invenzione di Sciascia, che vuole alludere al libro di Nino Savarese, I fatti di Petra.

[8] G. TRAINA, Una problematica modernità. Verità pubblica e scrittura a nascondere in Leonardo Sciascia, Acireale-Roma, Bonanno Editore, 2009, p. 17.

[9] Come scrive sul primo numero di “Galleria”: «Quando saremo lontani da questo piccolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che ci circondano e mortalmente ci annoiano […] la lontananza darà dolci cadenze alla noia di oggi e all’angustia; e diventerà un po’ amore quel che ora è insofferenza e reazione», in L. SCIASCIA, Paese con figure, in “Galleria”, I, 1, agosto 1949, p. 21.

[10] “L’Esperienza poetica”, trimestrale di poesia e di critica, fu fondata e diretta da Vittorio Bodini a Lecce tra il 1954 e il 1956. La rivista era articolata in quattro sezioni: Poesia, Saggi, Saletta – riservata alle “polemiche” letterarie – e I libri, dove si collocavano le recensioni. Cfr. A.L. GIANNONE, Modernità del Salento, Galatina, Congedo, 2009, pp. 61-63. È possibile leggere tutti i fascicoli della rivista nella ristampa anastatica curata da Armida Marasco: L’Esperienza poetica, Rivista trimestrale di poesia e di critica (1954-1956), con Introduzione e Indici di A. Marasco, Galatina, Congedo, 1980.

[11] “Galleria” è una rivista bimestrale di cultura, fondata nel 1949 a Caltanissetta e diretta da Leonardo Sciascia dal 1950 fino alla sua morte. Durante il suo lungo iter, la rivista ha modificato profondamente la sua fisionomia, passando dalle tematiche regionali e dai vari aspetti della cultura meridionale a interessi più specificamente poetici e narrativi, diventando una rassegna letteraria di ampio respiro, rivolta verso la letteratura italiana e straniera, in E. MONDELLO, Gli anni delle riviste. Le riviste letterarie dal 1945 agli anni Ottanta, Lecce, Milella, 1985, p. 116.

[12] In realtà, a segnalare la rivista di Bodini allo scrittore siciliano era stato lo scrittore calabrese Mario La Cava, suo amico e corrispondente, come si può riscontrare nella lettera scritta da quest’ultimo a Sciascia nel giugno del 1954: «Hai visto la rivista “L’Esperienza poetica” diretta da Vittorio Bodini a Bari? Che te ne pare?». A tale domanda il racalmutese aveva risposto: «Non conosco la rivista di Bodini. Scriverò per averla», cosa che poi accade puntualmente. Si rimanda a tal proposito a M. LA CAVA-L.SCIASCIA, Lettere dal centro del mondo (1951-1988), a cura di M. Curcio e L. Tassoni, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino Editore, 2012, pp. 159-161.

[13] Lettera 2, in V. BODINI-L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio (1954-1960), cit., pp. 24-25.

[14] Ivi, p. 8.

[15] Così era significativamente intitolato l’editoriale di Bodini apparso su “L’Esperienza poetica” nel n. 5-6 del gennaio-giugno 1955.

[16] Lettera 3 in V. BODINI-L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio (1954-1960), cit., p. 27.

[17] E in particolare dall’America, basti pensare all’antologia Americana, curata da Vittorini e Pavese ed edita da Bompiani nel 1941.

[18] D. LAJOLO, Il “vizio assurdo”. Storia di Cesare Pavese, Milano, Il Saggiatore, 1960, p. 156.

[19] E. GONZÁLEZ DE SANDE, Leonardo Sciascia e la cultura spagnola, Catania, La Catinella, 2009, p. 124.

[20] A testimonianza di ciò si può citare la lettera inviata da Bodini a Sciascia il 20 settembre 1956: «mi pare che ci sia una tentazione molto intelligente da parte tua in quest’accostamento alla Spagna. Non invano la Sicilia e il Reame… Dovremmo estendere il lavoro al mondo arabo. Fare una collana (che potremo dirigere assieme) di testi antichi e moderni, arabi, spagnoli, portoghesi, catalani e magari provenzali. Muoverci nell’unità culturale meridionale. Sopra tutto però il mondo arabo-ispanico dovrebbe essere il nostro obiettivo», Lettera 65 in V. BODINI-L. SCIASCIA, Sud come Europa. Carteggio (1954-1960), cit., p. 130.

[21] Come appare evidente dall’ultima lettera del carteggio, inviata da Sciascia a Bodini il 2 febbraio 1960: «Inutile dirti quanto, sempre, gradita mi sarebbe la tua collaborazione a “Galleria”; e quanto gradite mi sarebbero tue proposte per una collaborazione più larga – ai “quaderni” e alla nuova collana “Mediterranea” di cui è già uscito il primo numero (il brasiliano Mendes) e sta per uscire il secondo (l’Alexaindre di Puccini)», Lettera 77, ivi, p. 157.

[22] Sciascia stesso, in Ore di Spagna, afferma: «io avevo allora cominciato a studiare un po’ la lingua spagnola servendomi di uno di quei manuali popolari dell’editore Sonzogno; ma dal momento in cui ebbi le Obras di Ortega, lasciai da parte il manuale […] Così sulle Obras di Ortega ho appreso quel po’ di spagnolo che so (e lo so da sordomuto: a leggerlo soltanto)», in L. SCIASCIA, Ore di Spagna, Milano, Bompiani, 2000, p. 32.

[23] Infatti, nella prosa Barocco del Sud scrive: «Lecce non ha conosciuto che un grande amore, la cui memoria è così gelosamente esclusiva da farla sembrare ancora oggi una città del Seicento» e ancora «è una citta vedova del suo tempo» dove domina il «sentimento che la storia non vi riesca a procedere», in V. BODINI, Barocco del Sud, a cura di A. L. Giannone, Nardò, Besa, 2003, p. 79.

[24] Per una trattazione esaustiva sull’attività di Bodini ispanista si rinvia al saggio di Oreste Macrì, Vittorio Bodini ispanista, in AA. VV.,Le terre di Carlo V, cit., pp. 625-679.

[25] Bodini si recò in Spagna alla fine del 1946 per svolgere attività di ricerca presso l’Istituto italiano di cultura di Madrid, dal momento che aveva ricevuto una borsa di studio dal Ministero degli esteri spagnolo della durata di sei mesi. In realtà, sarebbe rimasto in Spagna per ben due anni dedicandosi anche ad altre attività, come quella di antiquario, per proseguire quella che si sarebbe rivelata una fondamentale esperienza artistica ed umana.

[26] Le prime prose di “corrispondenza” dalla Spagna vennero pubblicate già dal 1946 su «Risorgimento liberale», ma il nucleo più consistente è quello che trovò spazio sulla terza pagina de «La Gazzetta del Mezzogiorno» dal 1951 al 1954. Il titolo Corriere spagnolo era stato effettivamente utilizzato da Bodini per tre prose che avevano visto la luce sul periodico salentino «Libera voce» nel 1947, in A.L. GIANNONE, Bodini prima della «Luna», cit., pp. 69-70.

[27] ID., Introduzione a V. BODINI, Corriere spagnolo (1947-54), Lecce, Manni, 1987, p. 7.

[28] Raccolte per lo più in Barocco del Sud.

[29] Un sentimento ben espresso dall’autore anche nella poesia Con il tramonto su una spalla, in cui le tracce di un passato glorioso vengono accostate alla rovina del presente, cfr. V. BODINI, Dopo la luna, a cura di A. Mangione, Nardò, Besa, 2009, pp. 83-85.

[30] Si potrebbe ravvisare in questo aspetto un’eco leopardiana e in particolare un’analogia con il canto dell’artigiano che, ne La sera del dì di festa, giungendo in lontananza mette in moto nel poeta un meccanismo riflessivo, che lo porta a meditare sul tempo che nel suo scorrere vanifica «ogni umano accidente» e travolge il destino dei popoli, destinati a non lasciare alcuna traccia di sé.

[31] A.L. GIANNONE, Bodini prima della «Luna», cit., p. 74.

[32] Pubblicato nel 1988 a cura di N. Tedesco.

[33] Concetto elaborato dal saggista spagnolo Américo Castro e che costituisce la base su cui Sciascia crea la sua “ontologia regionale”.

[34] S. ZAPPULLA MUSCARÀ, Introduzione a E. GONZÁLEZ DE SANDE, Leonardo Sciascia e la cultura spagnola, cit., p. 7.

[35] L. SCIASCIA, Pirandello e la Sicilia, in Opere (1984-1989), a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 2004, p. 1045.

[36] Basti pensare al racconto L’antimonio – contenuto nella seconda edizione degli Zii di Sicilia (1961) – ambientato durante la guerra civile spagnola, un evento centrale nella formazione culturale e politica dell’autore.

[37] Si possono ricordare a tal proposito le parole di Bodini: «Io sono quasi spagnolo: sono un italiano del Sud, e questa dovrebbe essere la vera capitale del mio paese. Vi è in noi la medesima combinazione di follia e di realismo, le stesse inerzie febbrili, lo stesso bianco della calce contro il cielo. E il basilico, la chiocciola, il gelsomino sono parole che pronunziamo con l’identica intimità un po’ dialettale, come se le accompagnassimo d’una strizzatina d’occhi. In Italia queste cose non le capiscono: vi son considerate costumi di arretrate province meridionali», V. BODINI, Madrileno a Madrid, in Corriere spagnolo, cit., p. 93.

[38] ID., L’amore in Puglia ha il muso storto, in Barocco del Sud, cit., p. 104.

[39] Ibid.

[40] ID., Corriere spagnolo, cit., p. 51.

[41] L. SCIASCIA, La Sicilia come metafora, intervista di M. Padovani, Milano, Mondadori, 1979, p. 16. Sempre in questa intervista, Sciascia afferma: «dopo l’asilo, si veniva separati dalle bambine; quando suonava la campanella, loro uscivano da scuola per prime, e noi qualche minuto dopo. Era difficile avere rapporti di qualsiasi tipo con una ragazza, non si stava mai fuori insieme […] Nei discorsi che facevamo, tra noi adolescenti, sul sesso, si mescolavano il romanticismo più strampalato ai termini più crudi: eravamo, in fieri, dei tipici personaggi alla Brancati», ivi, p. 15.

[42] Ivi, p. 14.

[43] Non a caso Sciascia fa perdere al suo personaggio Candido – in Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia – la madre proprio al momento dell’arrivo dei soldati americani a Palermo.

[44] Ibid.

[45] V. BODINI, Corriere spagnolo, cit., p. 106.

[46] L. SCIASCIA, Ore di Spagna, cit., p. 48.

[47] V. BODINI, Corriere spagnolo, cit., p. 105.

[48] L. SCIASCIA, Ore di Spagna, cit., p. 49.

[49] Cfr. A. L. GIANNONE, “Una poesia pagata con la vita”: Lorca nell’interpretazione di Vittorio Bodini, in Studi sulla letteratura italiana della modernità. Per Angelo R. Pupino, a cura di E. Candela, Napoli, Liguori Editore, 2009, pp. 197-207.

[50] Ivi, p. 204.

[51] Emblematico a tal proposito è il ruolo chiave affidato a quest’opera nel suo Il contesto. Una parodia, come si evince da queste parole: « Scrisse per più di due ore. Rilesse. Bene. Benissimo. Forse sono le sole pagine mie che resteranno: un documento. Piegò in due il documento. E dove lo metto? Il Don Chisciotte, Guerra e pace, la Recherche? Un libro da salvare, un libro che salvi il documento. Scelse, naturalmente il Don Chisciotte», in  L. SCIASCIA, Il Contesto. Una parodia, Torino, Einaudi, 1971, p. 109.

[52] ID., Ore di Spagna, cit., p. 28.

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