La lanterna di Diogene e la lampada di Aladino. Filosofie film narrazioni 5. Filosofia e cinema

È il periodo in cui il dibattito sul cinema non solo è un dibattito dalla valenza politica, ma è un dibattito che entra direttamente nel discorso generale sulla società, in questo caso italiana. Indicativo in tal senso è un volume collettaneo del 1972 su Teoria e prassi del cinema in Italia 1950-1970. Si tratta anche qui di una scelta mirata di testi apparsi sulla rivista “Filmcritica”, con scritti di autori anche diversi quanto a formazione ideologica[77]. L’oggetto primario è il neorealismo italiano, la sua natura e i suoi limiti. Tra l’altro si ricorda la tesi di Galvano della Volpe che affrontava il problema filmico con la rivalutazione del “verosimile” aristotelico contrapposto al vero, dell’utopia contro la banalità del reale[78]. Ma il discorso pare di metodo e non di merito sul dire dei film[79]. Sia chiaro che qui non si vuole sottovalutare il valore della dimensione tecnologica del film, che è decisiva per il valore cinematografico e quindi estetico dello stesso, ma si vuole solo dire che il rapporto con la ricerca filosofica riguarda, in maniera privilegiata, la concettualità, cioè il film come racconto della fenomenologia, del modo di manifestarsi dell’uomo.

Nei primi anni del terzo millennio il dibattito italiano, e non solo, sul rapporto tra filosofia e cinema è stata rilanciato da un volume di Julio Cabrera apparso a Brasilia nel 1997 con il titolo Cine: 100 años de filosofia. Una introducción a la filosofia a través del análisi de películas, apparso in Italia, con le edizioni Bruno Mondadori, proprio nel 2000, con il titolo, molto più commerciale, Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film.

Il primo capitolo di Cabrera ha per titolo Per una critica della ragione logopatica e vi leggiamo che nei confronti del cinema la filosofia non andrà concepita come qualcosa di perfettamente definito, ma come qualcosa capace di modificarsi dinanzi alla sua apparizione. In questo senso, quando si manifesta il proprio interesse per la ricerca della verità filosofica, essa non dovrà, a mo’ di auto chiarificazione, circoscrivere l’indagine su se stessa nei meandri della propria tradizione, ma inserirsi nella totalità della cultura: la filosofia si ridefinisce via via dinanzi al mito, alla religione, alla scienza, alla politica e alla tecnologia. Quindi ora deve farlo nei confronti del pensiero “cinematografico”, tenendo conto della “svolta ontologica” impressa da Heidegger che ha rimesso in questione la razionalità puramente logica, introducendo nel processo di comprensione del reale un elemento affettivo o “patico”[80]. Siamo consapevoli di parlare di due sfere concettuali e anche di due lessici completamente diversi, ma viene quasi spontaneo citare a questo punto un passo dell’enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI (2005) dove si parla di “un cuore che vede” (31 b), cioè di un “vedere” attraverso l’organo che per secoli è stato visto come lo spazio della emotività, della non ragione, dei sentimenti e del pathos. Le ragione del cuore di pascaliana memoria? O potremmo parlare delle “viscere” richiamate da María Zambrano.

Tornando a Cabrera, egli aggiunge:

Non sembrerà eccessivamente ricercato vedere nel cinema e nel suo particolare tipo di linguaggio una forma alternativa di Abbandono, un modo di percepire l’universo in grado di promuovere – come la poesia – la stessa basilare attitudine nei confronti del mondo (anche se sappiamo che lo stesso Heidegger manteneva un atteggiamento scettico nei confronti del cinema, da lui relegato nel recinto delle moderne tecniche d’intrattenimento anziché ascritto a quell’attitudine “pensante” che riconosceva alla poesia)[81].

Tanto per dare un segno di quello che avviene nella filosofia occidentale, su questo tema, ricordiamo nel 2008 in Francia appare Cinéphilo. Les plus belles questions de philosophie sur grand écran di Ollivier Pourriol[82], dove l’ambiguità del termine ciné-philo (il trattino è nostro)è significativa.         

In Italia la punta avanzata di questo discorso, come già detto, è oggi Umberto Curi, per il quale ciò che è centrale è la valorizzazione della narrazione, sia in filosofia sia nel resto della poiesis, quindi anche nell’opera cinematografica. Nello stesso anno in cui appaiono gli atti del convegno di Francavilla a Mare, esce nella collana “Frontiere della didattica nell’insegnamento secondario” forse il primo volume dedicato alla didattica della filosofia tramite il cinema. Curatore e prefatore è lo stesso Curi che conclude così la sua premessa:

Dopo decenni di assenza, o di marginalità, una pluralità di segnali diversi […] concorrono nel sottolineare che lo sforzo per far emergere dalle opere cinematografiche il “pensiero” che esse custodiscono si è ormai affrancato da ogni necessità di giustificazione, e si sta imponendo come modalità autonoma di interrogazione dei testi filmici.

Pertanto sono ormai maturi, secondo l’autore, per sostituire “la congiunzione con una copula, riconoscendo che il cinema è filosofia[83].

Tutta questa impostazione è legata alla identificazione di filosofia e narrazione: non nel senso che l’elaborazione filosofica totalizzi le modalità narrative, ma nel senso che, come abbiamo già visto, anche la filosofia è forma narrativa e argomentazione. Ciò comporta quello che è, per Curi, un ulteriore passo dei suoi ultimi scritti: egli propone di non parlare più di cinema e filosofia, ma di film e filosofia:

Per mutare davvero piano di analisi, per farla finita con disquisizioni oramai esaurite, dalle quali tutto ciò (poco, in realtà) che poteva essere tratto, è diventato da tempo letteralmente luogo comune – per fare tutto questo occorrerebbe cominciare ad occuparsi non di cinema ma di film[84].

Enrica Buzzo, nel darne conto in “Carte di Cinema”, scrive: “Film piuttosto che cinema, sottolinea la necessità di parlare di testo filmico, scardinando le considerazioni del fatto nobil(itant)e di cinema, ovvero lasciando sullo sfondo le questioni storiche sulla natura dell’arte cinematografica”[85]. Racconto e ragionamento sono due modi di argomentare una tesi filosofica. E la forma filosofica incontra quella cinematografica: non nel ragionamento logico piuttosto in quella forma del mythos, in cui alla “verità” si giunge attraverso la verosimiglianza e l’efficacia del racconto ai fini del coinvolgimento emotivo[86].

Marisa Forcina, parlando del mito-Marylin, ha scritto che il mito è rappresentazione simbolica di un’esperienza collettiva storicamente concreta che si è organizzata assumendo una dimensione politica, ma, nel momento in cui è narrata, ha già consumato la sua reale fattualità storica:

Non è il racconto di qualcosa di soggettivo, ma la descrizione di un’esperienza plurale, essenzialmente politica, ed è la narrazione di un insieme di relazioni, con pretese di universalità o di universalizzabilità. Quando queste relazioni vengono esplicitate o rappresentate, hanno già consumato tutta la loro potenziale storicità legata all’azione concreta[87].

Il mito vive e rivive come (auto)narrazione di una comunità, di una comunità che ritorna al racconto mitologico, soprattutto quando avverte la tragicità della storia. E Curi:

È possibile “imparare” a “ragionare” guardando le immagini, meglio e più facilmente, di quanto non possa accadere con l’esercizio filosofico tradizionale. Anzi – la poiesis (e, al suo interno, quella forma di mimesis che è il cinema) è cosa più “filosofica” della storia, proprio perché ci mette in contatto con l’universale[88].

Tornando al tema principale e ridimensionando strumentalmente la questione: tutti i film sono allora “filosofici”? Il discorso è un altro. Se Merleau-Ponty, affrontando il problema, aveva parlato del “cinema e la nuova psicologia” era perché a lui interessava l’approccio tecnologico della ripresa e del montaggio del film. Perciò si ricollegava alla sua filosofia della percezione. Sartre, che pure sin da giovane aveva difeso, contro Alain, il cinema come arte, è perplesso, se non contrariato dal cosiddetto “cinema pensante” che trovò in America nel 1945. Se il cinema era prima diventato quasi un nuovo “oppio dei popoli”, sotto il duplice effetto della guerra e della guild degli scrittori cominciava a prendere coscienza delle proprie enormi responsabilità. Dopo il film muto e poi il film parlante, si stava assistendo alla nascita del film pensante[89]. In un’altra corrispondenza aveva affermato che non si deve credere che il cinema americano, diventato “pensante”, abbia guadagnato immediatamente:

Questi film “pensanti”, che ci toccano per la loro buona volontà, spesso sono maldestri, pesanti, discretamente noiosi. […] Nel diventare adulto, il cinema americano ha perso la sua grazia, il suo fascino fanciullesco, la sua riuscita espressività. Ci ha guadagnato in altre qualità; per esempio, negli studios di Hollywood, si comincia a prender gusto all’esattezza storica[90].

Due giorni dopo queste affermazioni, il suo giudizio è ancora più problematico: “Nei film ‘pensanti’, il ‘pensiero’ non va molto lontano. Si tratta, per lo più, di qualche considerazione politica e sociale di attualità”[91]. Il film “pensante” per Sartre non è il film “filosofico” o, meglio: egli non parla della dimensione filosofica del film ma del film che comincia a dimostrare una sensibilità sociale e politica[92]. Cosa ben diversa da quello che noi, tramite Curi, stiamo proponendo, in quanto solo negli ultimi decenni i filosofi hanno affrontato, come stiamo vedendo, in modo più diretto il problema del proprio rapporto con la narrazione.

Ma questo rapporto esiste da quando esiste il pensiero occidentale; in secondo luogo, non deve essere tutto ridotto al rapporto tra filosofia e letteratura. Probabilmente è ormai legittimo parlare della “messa in discussione” della filosofia in quanto rigido sistema concettuale come di un fenomeno storico effettivo. C’è chi riporta questa “messa in discussione” a Nietzsche, c’è chi lo retrodata… Comunque sia, la crisi della filosofia come pensiero sistematico e onnivoro sta aprendo spazi diversi alla filosofia. E questo percorso può essere un percorso di narrazione.

Per concludere, che vuol dire “film filosofico”?

L’idea che un film sia tanto più “filosofico” quanto sia meno comprensibile, e soprattutto sia piacevole e divertente, è uno dei luoghi comuni più deprimenti della cultura italiana[93].

Il discorso è un altro: anche le immagini trasmettono pensiero, emozioni e meraviglia. Così era nata anche la filosofia.


Note

[75] Tra gli altri ricordiamo questi scritti di Guido Aristarco: Il dissolvimento della ragione. Discorso sul cinema, con Introduzione di G. Lukács, Feltrinelli, Milano 1965; Dalla critica cinematografica alla dialettica culturale Guaraldi, Firenze 1975; Marx, il cinema e la critica del film, Feltrinelli, Milano 1979; Neorealismo e nuova critica cinematografica, Nuova Guaraldi, Firenze 1980; Su Visconti, La zattera di Babele, Roma 1986; Su Antonioni, La zattera di Babele, Roma 1988; Il nuovo mondo dell’immagine elettronica, con T. Aristarco, Dedalo, Bari 1985; Il cinema. Verso il centenario, con T. Aristarco, Dedalo, Bari 1992; Il cinema fascista. Il prima e il dopo Dedalo, Bari 1996.

[76] G. Lukács, Introduzione,  in Il dissolvimento della ragione,cit., p. 10.

[77] I brani presentati sono di Galvano Della Volpe, Umberto Barbaro, Roberto Rossellini, Armando Plebe, Edoardo Bruno, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Emilio Garroni, Giulio C. Argan, Vittorio Gelmetti, Umberto Silva, Guido Morpurgo-Tagliabue, Alessandro Cappabianca.

[78] Ripreso nell’Introduzione di E. Bruno, in Teoria e prassi del cinema in Italia 1950-1970, Gabriele Mazzotta, Milano 1972, p. IV.

[79]“E possibile andare oltre la riflessione sul cinema, tagliando corto con le dispute di carattere metodologico”; U. Curi, L’immagine-pensiero, cit., p. 12.

[80] Nella edizione italiana, citata nel testo, a c. di M. Di Sario, è a p. 5.

[81] Ivi, p. 8.

[82] L’edizione è di Hachette, l’ed. italiana, a cura di L. Cortese, è Cinefilosofia. I grandi filosofi spiegati attraverso il cinema, De Agostini, Novara 2009.

[83] U. Curi, Prefazione, in Esercizi di filosofia al cinema, a c. di U. Curi, Pensa, Lecce 2006, p. 14.

[84] U. Curi, L’immagine-pensiero, cit., p. 12.

[85] E. Buzzo, Il racconto filmico come moderno discorso filosofico, “Carte di cinema”, n. 26, I quadrimestre 2009, p. 31.

[86] Cfr. Ivi, p. 32.

[87] M. Forcina, Il mito-Marylin, in Fenomenologia del mito. La narrazione tra cinema, filosofia, psicoanalisi, a c. di G. Invitto, Manni, San Cesario di Lecce 2006, p. 176.

[88] U. Curi, L’immagine pensiero, p. 30.

[89] Hollywood evolue, “Combat”, 1-2 aprile 1945; trad. it. in Sartre e Beauvoir al cinema, a cura di  S. Teroni e A. Vannini, La Bottega del cinema, Firenze 1989, pp. 91-92. La guild dei writers è il sindacato degli sceneggiatori statunitensi.

[90] Un film sur Wilson a apporté des voix à Roosevelt, “Combat”, 5 aprile 1945; trad. it. in Sartre e Beauvoir al cinema, cit., p. 93.

[91] Hollywood aura demain un concurrent de plus: le Mexique, “Combat”, 7 aprile 1945; trad. it. in Sartre e Beauvoir al cinema, cit., p. 94.

[92] Su tutto questo discorso sartriano, ci permettiamo di rinviare a Sartre e il cinema. La stagione del disamore, nel ns. Idee e schermi bianchi. Filosofia e cinema tra il mito e il falso, Mimesis, Milano 2007, pp. 23-40.

[93] L’immagine-pensiero, cit., p. 10.

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