Fin qui tutto giusto, parrebbe. Tuttavia alcuni suggerimenti lasciano perplessi. La Commissione scrive che, per non urtare la sensibilità di chi potrebbe sentirsi discriminato, non si dovrebbero usare parole come «cittadino immigrato» (perché l’espressione ferisce chi non ha cittadinanza europea), «vecchio» (perché ricorda il peso degli anni a chi di anni ne ha molti), «malato» (perché è un termine discriminatorio). Per le medesime ragioni di prudenza linguistica, converrebbe evitare frasi come «il fuoco è la più grande invenzione dell’uomo». In realtà nessuno può affermare con sicurezza che sia stato davvero un uomo (e non una donna) a scoprire le meravigliose opportunità che il fuoco ha regalato a tutti; pertanto sarebbe giusto dire «il fuoco è la più grande invenzione dell’umanità». Nel continente europeo convivono differenti tradizioni religiose, moltiplicate negli ultimi decenni a causa della forte immigrazione; non tutti professano o praticano la religione cristiana, non tutti celebrano le vacanze natalizie. Di conseguenza, invece di dire «Buon Natale» converrebbe dire «Buone feste». Addirittura la Commissione invita a «non usare nomi propri tipici di una specifica religione» quali Giovanni o Maria.
Un testo così concepito ha suscitato reazioni, qualcuno ha parlato di «follia» e di «storia e identità minacciate». La polemica è divampata. I difensori professionali delle radici dell’Europa si sono allarmati. Ma non si è trattato solo di posizioni estreme o isolate, consuete in chi polemizza con l’Europa, ignorando i benefici, economici e sociali, che il contesto europeo ci offre. Non poche perplessità si sono ingenerate anche in chi, semplicemente, non vuole rinunciare al buon senso e si appella a una equilibrata visione della storia, riflettendo sul passato e considerando insieme il presente. Di fronte alle perplessità, il documento è stato ritirato, con queste motivazioni: «L’iniziativa delle linee guida aveva lo scopo di illustrare la diversità della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione. Tuttavia, la versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo.Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi».
Tutto a posto? Niente affatto. L’episodio invita a riflettere, fa capire quanto complesse siano le questioni con cui si misura la società occidentale, che si pone obiettivi di democrazia e di tolleranza, ricercando un difficile equilibrio tra esigenze diverse. Le società intolleranti, che negano il dissenso e reprimono le diversità, non si pongono certi problemi: vietano e basta, spesso imprigionano, a volte fanno sparire chi è diverso. Invece chi rifiuta l’autoritarismo deve assumere comportamenti non sbilanciati: fare i conti con la propria storia e con il presente può rivelarsi difficile e può indurre a reazioni fuori misura. Il colonialismo ha caratterizzato per secoli il comportamento di stati forti che, affermando la necessità della propria espansione, hanno assoggettato altre nazioni e altri popoli. Dunque va rifiutato. Ma è difficile condividere l’atteggiamento di chi, opponendosi al colonialismo (questo è giusto!), abbatte oggi negli Stati Uniti le statue di Cristoforo Colombo (questo è sbagliato!), scopritore dell’America, perché attribuisce a quella scoperta lo sterminio dei nativi del nord e del sud del continente americano. Colombo probabilmente non era un santo, ma alla fine del Quattrocento non poteva prevedere quello che sarebbe successo dopo di lui. Connesso al colonialismo è spesso il razzismo, piaga terribile, giustamente stigmatizzata. In nome dell’antirazzismo (sentimento ammirevole) si boicottano (sbagliando) film come «Via col vento» e romanzi come «Le avventure di Huckleberry Finn» di Mark Twain (che Ernest Hemingway collocava all’inizio della letteratura americana moderna) perché usano la parola “negro” (in quei tempi quella era in uso) e descrivono l’atroce schiavismo; si decide di cancellare il nome «Redskins» («Pellerossa») e di rimuovere il logo (con il volto di profilo di un capo pellerossa) di una famosa squadra di calcio americana, di annullare il nome «Eschimese» con cui la Nasa aveva comunemente etichettato una nebulosa (ora si chiama NGC 2392). La dissacrazione del passato induce Michel Houellebecq, scrittore, saggista, poeta francese, a definire (in pubblico, alla Sorbona) Napoleone probabilmente il personaggio peggiore della storia universale che, per soddisfare la propria ambizione, non ha esitato a trattare come carne da cannone centinaia di migliaia di uomini nelle guerre che hanno devastato l’Europa (mi chiedo cosa ne pensava Alessandro Manzoni mentre componeva «Il cinque maggio»). Anche in questo caso: Napoleone non era un santo, ma dopo di lui ci fu la restaurazione più bieca.
La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. La locuzione “politicamente corretto” (calco-traduzione dall’anglo-americano “politically correct”) definisce l’atteggiamento di rispetto con il quale guardare a minoranze e a gruppi socialmente deboli. Ma interpretazioni rigide del politicamente corretto portano a comportamenti fuorvianti come quelli che abbiamo elencato sopra. E inducono i benpensanti a rinchiudersi nel proprio recinto, rifiutando ogni tentativo di modificare positivamente la società. È fondamentale usare la lingua in modo appropriato, cercando le parole giuste, senza offendere e senza cadere nel ridicolo, mantenendo il senso della misura. Dobbiamo accettare la realtà per quella che è, senza insultare e senza irridere, senza buonismi dolciastri. Le buone intenzioni, inclusive e politicamente corrette, della Comunità europea contengono un equivoco sul significato di democrazia e di tolleranza. Una società aperta non è quella che dimentica la propria tradizione e la propria cultura, la democrazia non significa oblio di sé stessi, la tolleranza non comporta la messa in discussione della propria identità (stratificata, mutevole, complessa).
Con riferimento all’episodio da cui siamo partiti Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena (nell’intervista «Il mondo è cambiato e la lingua si adegua», «Corsera», 30 novembre 2021), afferma: «La lingua è duttile e riserva molte possibilità, usiamole per avere una società più giusta e per adeguare le parole al mondo che cambia». Proprio così. La lingua deve porsi l’obiettivo di non favorire le discriminazioni e di rappresentare le giuste esigenze di inclusività e di riconoscimento sociale. Ma deve farlo attraverso la complessità dei ragionamenti e con formulazioni adeguate, senza inseguire soluzioni lessicali in apparenza facili, nella realtà solo estrinseche e strumentali, perciò non condivisibili.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 12 dicembre 2021]