Un romanzo di Raffaele Nigro: Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway

Ma questa vicenda intanto serve a Nigro per un “ritorno” nella sua terra e anche qui, sotto sotto, per rivendicare e ricordare, di fronte a rozze ideologie, la storia, le tradizioni, gli uomini illustri della sua regione, nativi o acquisiti (da Sinisgalli a Scotellaro, da Carlo Levi a Ernesto De Martino). E poi per sviluppare una riflessione sul tempo che passa, sul rapporto tra sogno e realtà, sulle illusioni di cui a volte si nutre la nostra esistenza.

Qual è infatti il senso della vicenda narrata? A me sembra proprio quello di colmare il vuoto interiore del protagonista in modi diversi: con la caccia al mammut e/o con l’amore di una giovane donna, come cerca di fare lo scrittore americano nel corso della sua permanenza in Lucania.

Ma vediamo di analizzare più da vicino il protagonista, un Hemingway ormai avanti negli anni, malato e depresso, “malinconico”, che vive “in stato comatoso” e che accetta quest’ultima sfida della sua vita. Hemingway in Lucania, come già era successo per Carlo Levi e altri illustri visitatori, si immerge in questa terra e scopre la storia (o le storie) del Sud (la rivolta dei briganti contadini, i vari popoli che l’hanno invasa), le ricchezze artistiche e paesaggistiche del Sud, come, ad esempio, la Madonna lignea del Trecento portata da Roberto d’Angiò a Castelmezzano, la straordinaria Sant’Eufemia a Irsina, scolpita forse da Mantegna, e ancora le leggende, le tradizioni, i tesori nascosti (codici, libri antichi).

La Lucania insomma ha l’effetto quasi di rigenerare il grande scrittore statunitense che mette a confronto la ricchezza della storia del Sud d’Italia con l’assenza di storia della sua terra. Ma ciò che contribuisce ancora di più a “lenire” i dolori del vecchio scrittore è il rapporto con una giovane donna, Assunta, che per lui rappresenta un miraggio irraggiungibile, in fondo, la sua stessa giovinezza perduta, proprio come il mammut. Assunta e il mammut rappresentano appunto le estreme illusioni di Hemingway per colmare il suo horror vacui, la paura di invecchiare e morire.

E solo quando ferisce il giovane fidanzato di Assunta, Paolo, scambiandolo per il mammut, egli quasi si sveglia dal sogno che stava vivendo, si rende conto di ciò e si rassegna al suo destino, tornandosene solo a Cuba, in attesa della fine:

Il treno della vita stava correndo da qualche parte, forse stava tornando a casa e lui doveva assolutamente prenderlo. La sua meta a quel punto era il ritorno, la quiete, la fine del furore. Doveva ammaestrarsi all’attesa del crepuscolo e non ingombrare la vita di altri col rimasuglio della propria. Si ritrasse sfinito nel cimitero dei mammut (p. 158).

[Intervento in occasione della presentazione del romanzo di R. Nigro, Fernanda e gli elefanti bianchi (Milano, Rizzoli, 2010), tenutasi a Lecce presso la Libreria Liberrima, 27 febbraio 2011. Testo inedito]

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Recensioni e segnalazioni, Scritti letterari di Antonio Lucio Giannone e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *