di Antonio Lucio Giannone
Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway (Milano, Rizzoli, 2010) di Raffaele Nigro è un romanzo insolito, sia per la storia che viene raccontata che per la sua struttura narrativa. Anzi, più che un romanzo si potrebbe definire una favola allegorica caratterizzata da una vena di malinconia e di mestizia che riflette i malumori dell’autore, i suoi “astratti furori”. Questa tonalità emerge fin dall’inizio con l’episodio che dà occasione al racconto e che ne costituisce la cornice: l’episodio dell’allontanamento di Nigro e di tre altri scrittori, Michele Prisco, Gino Montesanto e Tano Citeroni dalla giuria del Premio Chiara che si svolge a Varese. Ecco, già qui emerge il primo tipo di malumore dell’autore, quello di tipo storico e politico in senso lato, per la situazione italiana dagli anni Novanta del secolo scorso a oggi e per certi fenomeni preoccupanti come la Lega padana che nacque in quegli anni. Sono, infatti, gli amministratori leghisti del Comune che allontanano dalla giuria questi letterati solo perché di opposta fede politica e di un’area geografica non gradita, quella meridionale.
L’incipit del libro sembra funzionale alla storia che viene poi narrata, e non solo da un punto di vista narratologico, perché proprio la stupida decisione dei leghisti fa scattare la riflessione del Nigro-personaggio sulle sue origini meridionali e la rivendicazione orgogliosa di queste origini.
Questo motivo mi ha ricordato i nostri grandi poeti meridionali del Novecento: da Quasimodo a Sinisgalli, da Gatto a Bodini a Scotellaro, nei quali emerge il motivo del Sud e la rivendicazione del suo glorioso passato che si contrappone spesso a un presente misero e pieno di problemi.
E questo è il primo tipo di malumore che emerge nel libro, di tipo quindi politico, sociale, per queste vicende dei nostri tempi. Ma c’è poi un altro tipo di malumore che è quello del protagonista, addirittura Ernest Hemingway, nel quale però mi sembra che si rifletta lo stesso autore, e cioè di tipo esistenziale, che caratterizza la storia principale, come Nigro la apprende (o dice di apprendere) durante il viaggio in macchina, da Milano a Roma, da Fernanda Pivano, la quale da un certo punto diventa la voce narrante. Una storia inverosimile, improbabile e cioè la discesa di Hemingway in Lucania nel 1956 a caccia di elefanti (o mammut).