Lo scrittore salentino non faceva parte della ristretta cerchia degli amici e dei corrispondenti abituali di Montale, con i quali in quegli anni si erano stabiliti importanti sodalizi intellettuali, come Sergio Solmi, Giacomo Debenedetti, Emilio Cecchi, Bobi (Roberto) Bazlen. L’autore degli Ossi lo conobbe quasi sicuramente a Milano, dove Saponaro viveva dal 1914 e dove il poeta genovese dal 1924 si recò periodicamente, anche in vista di un suo possibile impiego in campo giornalistico[4]. Proprio nel novembre del ‘24, ad esempio, «conosce Enzo Ferrieri, direttore di “Il Convegno” Carlo Linati, Sibilla Aleramo, Margherita Sarfatti»[5]. Quest’ultima, fra l’altro, venne invitata a collaborare dallo stesso redattore alla «Rivista d’Italia», sulla quale curava la rassegna d’arte.
Non possediamo le lettere di Saponaro a Montale, perché questi, com’è noto, a parte rare eccezioni come quelle di Svevo, non aveva l’abitudine di conservarle. Stando comunque alla prima qui pubblicata, l’occasione del breve scambio epistolare fu la richiesta, da parte di Saponaro, di una recensione, sull’«Ambrosiano», del suo ultimo romanzo, La giovinezza, uscito alla fine del 1926 con Mondadori. Quest’opera, che faceva parte del ciclo Un uomo, iniziato nel 1924 con L’adolescenza, narra la vita del protagonista, Mario, una sorta di alter ego dell’autore, dai diciassette ai trentatré anni. Si tratta di «un romanzo di formazione»[6], che si inserisce «nel fortunato filone della narrativa sentimentale di qualità del primo Novecento»[7] e, nella seconda parte, è ispirato «direttamente al grande modello dannunziano»[8].
Della Giovinezza, sul giornale milanese, era già uscita una segnalazione anonima, ma dovuta probabilmente ad Arturo Lanocita, che faceva parte della redazione, citato nella seconda lettera[9]. Della recensione vera e propria, a quanto riferisce Montale, che aveva incominciato a collaborare a «L’Ambrosiano» dal gennaio di quell’anno, doveva occuparsi poi Marco Ramperti («una firma più chiara della mia», come scrive il poeta con una dichiarazione di modestia), che curava la critica teatrale e cinematografica, ma pubblicava anche articoli di argomento letterario. Questi, peraltro, due anni prima aveva preso in esame il primo romanzo del ciclo Un uomo, L’adolescenza[10].
Da un punto di vista specificamente letterario, i romanzi di Saponaro poco potevano interessare l’autore degli Ossi di seppia, che in quegli anni aveva allargato ulteriormente i suoi orizzonti in una prospettiva europea. Come ha scritto Franco Contorbia, infatti, l’esperienza intellettuale e poetica di Montale che «prima della “scoperta” di Svevo, tra la fine del 1925 e il 1926, era sembrata svolgersi in un milieu tra nazionale e regionale», ora, grazie al dialogo con l’autore della Coscienza di Zeno, era proiettata «al di là dei suoi confini originari»[11].
Saponaro, in fondo, per citare uno scritto di Montale del 1926 sullo scrittore triestino, rappresentava proprio la figura del «letterato professionale» di cui quegli era «l’esatto opposto»[12], e così pure la sua narrativa realistico-sentimentale, legata ancora a schemi tradizionali tardo-ottocenteschi, era lontanissima da quel «romanzo moderno»[13] di cui Svevo era da lui considerato uno degli iniziatori. D’altra parte, nemmeno in seguito il poeta genovese prenderà in esame opere di Saponaro. Soltanto, in unarticolo del 1929, L’annata letteraria, una sorta di consuntivo dell’anno appena trascorso, pubblicato nell’Almanacco italiano 1929 di Bemporad, viene citato un altro suo romanzo del 1928, La bella risvegliata[14]. Tuttavia, come emerge anche dal tono estremamente cortese e, per certi versi, confidenziale, delle lettere, esisteva forse un rapporto di reciproca stima sul piano umano tra i due, accomunati anche dalla posizione ideologica, in quanto entrambi, in tempi diversi, avevano firmato da poco il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, del 1925.
Per tornare ora alle due lettere, esse forniscono innanzitutto ulteriori elementi relativi alla data del trasferimento di Montale nel capoluogo toscano. In realtà, dopo la pubblicazione del volume Lettere da casa Montale[15], non dovrebbero più sussistere dubbi sul fatto che il poeta ligure si sia trasferito a Firenze nel marzo e non nel febbraio del 1927, come è sostenuto da Giorgio Zampa nella Cronologia da lui curata per la pubblicazione delle Opere nei Meridiani[16], nonché nella terza edizione[17] della biografia del poeta scritta da Giulio Nascimbeni, il quale, invece, nella prima[18] e nella seconda[19] aveva indicato marzo.
Nelle lettere inviate, in quel mese, a Debenedetti, a Solmi, a Bemporad, a Ferrieri e a Svevo, Montale scrive sempre da Genova. Anche la prima lettera a Saponaro, datata «27 febbraio 1927» è inviata dal capoluogo ligure, dove «una noiosa influenza» lo aveva «tenuto a letto molti giorni». Ciò significa che per quasi tutta la seconda metà del mese era rimasto bloccato in casa e, quindi, non si era potuto muovere da Genova. Anche in una lettera all’editore Bemporad, sempre del 27 febbraio, accenna a questo problema di salute: «La ringrazio della Sua lettera del 21 u. s. che mi ha trovato a letto con febbre e influenza. Senza questo incidente, ormai superato bene perché sono quasi rimesso, io avrei dovuto raggiungerLa a Firenze…»[20]. E così in un’altra lettera inviata a Solmi il 29 febbraio fa riferimento al fastidioso malessere («Io ho passato giorni funesti»[21]), da cui si era un po’ ripreso «negli ultimi due giorni»[22].
Resta ancora a Genova, quindi, almeno fino agli inizi di marzo, poi si reca a Milano, ospite della sorella Marianna e del marito Luigi Vignolo, «in occasione della conferenza Svevo [su Joyce]» svoltasi l’8 marzo al Circolo del «Convegno», come scrive in una lettera a Debenedetti[23]. Subito dopo, come si legge in una lettera di Marianna all’amica Ida Zambaldi dello stesso giorno, avrebbe dovuto raggiungere Firenze («Eugenio è qui, viene a Firenze domani, ma la cosa di Bemporad è ancora per aria»[24]). La prima missiva, finora nota, inviata da Montale dal capoluogo toscano (una cartolina postale) è datata «12 marzo 1927», ed è indirizzata a Svevo[25]. Il 14 marzo manda una lettera alla sorella[26] e il 22 di quel mese a Saponaro che è quindi uno dei primi a cui scrive dalla nuova città di residenza.
È probabile, allora, che a Firenze Montale sia stato l’8 febbraio 1927, come risulta da una lettera a Solmi citata da Zampa[27], ma solo per prendere ulteriori contatti con l’editore Bemporad, il quale fin dal settembre dell’anno precedente gli aveva promesso un’assunzione, e per trovare una sistemazione logistica. D’altra parte, quella lettera è scritta su carta intestata «R. Bemporad & Figlio» e non è indicata ancora la sede della Pensione Colombini, in via del Pratellino 7, dove il poeta risiedette all’inizio della sua permanenza fiorentina.
Ma le due lettere a Saponaro permettono anche di fare qualche precisazione sulla collaborazione di Montale all’«Ambrosiano» e sul lavoro che svolgeva presso Bemporad. Il rapporto col quotidiano milanese, appena iniziato, come risulta anche da queste lettere, non era per niente soddisfacente per lui. In una lettera del 4 febbraio del 1927 a Giacomo Debenedetti così scrive: «All’Ambos.[siano] ho molte limitazioni di spazio e di pensiero. Di Soffici p. es. è vietato dir male, e non ne parlerò. Vogliono articoli brevissimi, commercialissimi, dedicati ai soli libri ufficiali»[28]. In quella del 22 marzo sempre a Debenedetti: «All’Ambrosiano non posso più dar quasi nulla: eppoi ci sono troppi se e ma che rendono difficile la collaborazione mia»[29]. Questa espressione ricalca quasi alla lettera quella da lui usata nella prima lettera a Saponaro: «Ci sono
troppi se e ma e uomini tabù etc.». Qui Montale accenna anche alle «condizioni difficili» in cui si trovava per quanto riguarda il giornale, dove non aveva piena libertà di scelta negli argomenti da trattare e nei libri da recensire. Inoltre si lamenta del poco spazio riservato, a suo avviso, alla critica letteraria, mentre venivano più richiesti gli articoli di “varietà”[30], verso i quali non si sentiva particolarmente portato («io disgraziatamente, non sono scrittore “di varietà”»).
Significativa, a questo proposito, la mancata pubblicazione di un suo pezzo sugli ultimi libri di Lorenzo Viani e Angiolo Silvio Novaro, dal titolo Venti dal Parnaso[31], che nella citata lettera a Debenedetti del 4 febbraio definisce «nota stroncativa»[32], mentre qui, attenuando il tono, «nota cortese ma non entusiasta».
D’altra parte, anche l’articolo su Alfredo Panzini, apparso su «L’Ambrosiano», l’11 aprile 1927[33], l’unico da lui dedicato allo scrittore romagnolo che «con il suo umanesimo liceale e un certo sentimentalismo, non poteva essere nelle corde di Montale»[34], gli venne «proposto» dallo stesso direttore del giornale, Enrico Cajumi, come scrive nella seconda lettera. E anche nella citata missiva a Debenedetti del 22 marzo 1927 definisce «obbligata»[35] la recensione su Panzini.
Inoltre le due lettere di Montale a Saponaro apportano una novità di un certo rilievo sull’origine del suo rapporto col giornale milanese. Infatti dalla prima emerge che a «L’Ambrosiano» non arrivò «attraverso Solmi»[36], come ipotizza Giorgio Zampa, ma a proporlo a Cajumi fu proprio Marco Ramperti, una singolare figura di giornalista e letterato, tra le firme più note dell’epoca[37], redattore, come s’è detto del quotidiano. Quasi completamente dimenticato dalla critica, Ramperti, che ebbe una vita avventurosa e movimentata, è autore di numerose opere (romanzi, racconti, ricordi, ecc.)[38]. Un suo libro, apparso nel 1936, Nuovo alfabeto delle stelle, nel quale raccoglieva i profili di cinquanta dive cinematografiche, da lui conosciute anche a Hollywood, ha suscitato l’interesse di Leonardo Sciascia che nel 1981 lo ripubblicò col titolo L’alfabeto delle stelle con l’editore Sellerio di Palermo. Nel risvolto di copertina, lo scrittore siciliano sosteneva, fra l’altro, che «con una scrittura di persistente dannunzianesimo ma lampeggiante di “greguerías” alla Ramón Gómez de la Serna […], Ramperti ci dà la testimonianza più diretta del rapporto ‒ non dissimile da quello del don Ferrante manzoniano con le stelle vere ‒ che una generazione ebbe con le stelle del cinema»[39].
Ulteriore luce queste due lettere gettano anche sul rapporto lavorativo con l’editore Bemporad, e confermano la scontentezza di Montale attraverso un accenno isolato ma significativo contenuto nella seconda lettera: «e me ne venni qui, dove lavoro come un cane presso Bemporad». D’altra parte, anche in quella inviata alla sorella Marianna il 14 marzo, pochi giorni quindi dopo l’assunzione, aveva scritto: «Ho un orario un po’ gravoso, dato che non esiste il sabato inglese, ma pazienza»[40]. Così pure nella lettera inviata a Solmi il 25 marzo, Montale ribadisce la scarsa gratificazione che provava dall’impiego con l’editore fiorentino: «Lavoro stupidamente, non molto finora, ma con le otto ore d’orario e senza sabato inglese; e credo che il lavoro crescerà»[41]. E Nascimbeni, dal canto suo, scrive che Montale lavorava «otto ore al giorno, dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 19»[42].
Non manca, infine, nella seconda lettera, un giudizio tutto sommato positivo, sia pure con qualche riserva, sul romanzo di Saponaro, espresso da Montale non si sa se per intima convinzione o per una forma di cortesia nei confronti del suo interlocutore: «A me il libro piace assai, appunto nei limiti e nei termini ch’Ella mi scrive. Ci sono parti ancora un poco allo stato di appunti grezzi (la parte milanese, ad es.), ma quel che importa è che la vita c’è. E c’è quel tipo di verità che nel romanzo italiano è rara; senza rigatteria romanzesca».
Colpisce anche il riferimento al motivo letterario della prima giovinezza, al centro del romanzo di Saponaro, e a quello della vecchiaia: «Certo, la prima giovinezza è più facile per tutti, e ne so qualcosa anch’io. E c’è il tempo della vecchiaia, argomento difficilissimo per un libro…». Non è facile capire, in verità, se Montale, in questo criptico accenno, si riferisca alla sua giovinezza in senso biografico o alla concezione che egli aveva di questo periodo della vita e che emerge da alcuni suoi testi famosi degli Ossi, come Falsetto, dove nella giovinezza è intravista una “minaccia” («Esterina, i vent’anni ti minacciano, | grigiorosea nube»[43]). Nelle ultime raccolte, invece, da Satura in poi, Montale procede invece a una «svalutazione della giovinezza»[44], definita, nel Diario del ’71 e del ’72, la «stagione più ridicola della vita» (Annetta)[45] e «il più vile degli inganni» (Sorapis, 40 anni fa)[46].
Del tema della vecchiaia, invece, parlerà solo due anni dopo, nel 1929, nella Nota introduttiva al volume di Svevo, Novella del buon vecchio e della bella fanciulla ed altri scritti, dove – scriveva ‒ «l’ultima età dell’uomo, la vecchiaia, le illusioni, le manie, le fobie, i pericoli ch’essa comporta, ne sono pressocché la sola materia. Materia rara –aggiungeva ‒ in ogni letteratura e tanto più rara nella nostra». E subito dopo indicava le «molte difficoltà dell’argomento»[47], con un’espressione quindi che ricorda assai da vicino («argomento difficilissimo per un libro») quella usata nella lettera a Saponaro.
[In A.L. Giannone, Ricognizioni novecentesche. Studi di letteratura italiana contemporanea, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2020]
Lettere inedite di Eugenio Montale[48]
I
8 Via privata Piaggio, Genova (6)
27 Febb. 1927
Caro Saponaro,
ho tardato a rispondere alla Sua, causa una noiosa influenza che mi ha tenuto a letto molti giorni. Mi perdoni. Sono lieto che del suo romanzo[49] parli, su L’Ambrosiano[50], Ramperti[51], per il maggior vantaggio che potrà derivare al libro da una firma più chiara della mia.
Io mi trovo, anzi, per ciò che riguarda l’Amb.[rosiano], in condizioni difficili, e temo che la mia collaborazione, da poco iniziata, non possa che languire. Ci sono troppi se e ma e uomini tabù etc. Inoltre non sanno che farsene, all’Amb.[rosiano], della parte critica, ed io disgraziatamente, non sono scrittore “di varietà”.
Pensi (ma resti fra noi) che una mia nota cortese ma non entusiasta su uomini come Viani e A. S. Novaro[52] (a proposito de’ loro ultimi libri) mi venne ritornata con la preghiera di non entrare in una materia vitanda!!
Ho scritto: resti fra di noi, ma se vede Ramperti (che mi ha gentilmente proposto, mesi fa, al direttore dell’A.[mbrosiano]) gli accenni pure a queste sècche tra le quali devo procedere. E gli dica che se non posso fare onore al mio presentatore, la colpa non è … tutta mia.
Mi creda, con nuovi ringraziamenti e con la più cordiale amicizia e simpatia
Suo dev.
E. Montale
Lettera manoscritta su una facciata, senza busta.
II
Firenze, Via del Pratellino 7
Pensione Colombini
Caro Saponaro,
mi duole assai che per una serie d’incidenti e disguidi Ella rischi di non aver l’articolo su la Giovinezza nell’Ambrosiano. Io non pensai più alla cosa, data l’assicurazione che Ramperti ne avrebbe scritto; e me ne venni qui, dove lavoro come un cane presso Bemporad, lasciando il libro a Genova. Ramperti avrebbe certo maggiore libertà; ma io son quasi sicuro che Cajumi[53] mi direbbe che del libro s’è già parlato nell’A.[mbrosiano]. Così m’ha detto per altri volumi, appena nominati da Lanocita[54], eccezion fatta per Panzini che m’ha proposto lui stesso a soggetto d’una prossima nota[55].
In ogni modo io scriverò a Ramperti di ricordarsi del libro, dato che a me sarebbe men facile parlarne. (E scriverò di mia iniziativa, s’intende). Insomma uno dei due dovrebbe pure parlarne, e ne parlerà certo.
A me il libro piace assai, appunto nei limiti e nei termini ch’Ella mi scrive. Ci sono parti ancora un poco allo stato di appunti grezzi (la parte milanese, ad es.), ma quel che importa è che la vita c’è. E c’è quel tipo di verità che nel romanzo italiano è rara; senza rigatteria romanzesca.
Certo, la prima giovinezza è più facile per tutti, e ne so qualcosa anch’io. E c’è il tempo della vecchiaia, argomento difficilissimo per un libro…
Mi perdoni la fretta. Ma vivo col tempo contato. Grazie ancora della Sua che mi dette gran piacere; e si ricordi qualche volta del suo
affmo
Eugenio Montale
22. III. 27
Lettera manoscritta su
due facciate, senza busta.
[1] Cfr. E. Cecchi, Saponaro, Michele, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1936, vol. XXX, p. 812. Sul rapporto tra i due cfr. A:L. Giannone, Michele Saponaro e Emilio Cecchi (con lettere inedite), in Letteratura, verità e vita. Studi in onore di Gorizio Viti, a cura di P. Viti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005, tomo II, pp. 647-659.
[2] Cfr. A.L. Giannone, La «Rivista d’Italia»: il triennio 1918-1920, in «Rivista di Letteratura Italiana», XXII, 3, 2004, pp.137-141.
[3] Sulla figura e l’opera di Saponaro cfr. E. Tiozzo, Lo spettatore della vita. Poetica e poesia della contemplazione nella narrativa di Michele Saponaro, Aracne, Roma 2010; Michele Saponaro cinquant’anni dopo, Atti del Convegno Internazionale di Studi (San Cesario di Lecce-Lecce, 25-26 marzo 2010), a cura di A.L. Giannone, Congedo, Galatina 2011.
[4] Da alcune lettere inviate dai genitori del poeta alla sorella Marianna e da lui stesso a Debenedetti, Montale risulta essere stato a Milano anche nel 1925 e nel ’26.
[5] Cronologia, in E. Montale, Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 19978, p. LXII (d’ora innanzi TP).
[6] La definizione è di E. Tiozzo, Lo spettatore della vita. Poetica e poesia della contemplazione nella narrativa di Michele Saponaro cit., p. 221.
[7] Ivi, p. 230.
[8] Ivi, p. 231.
[9] Cfr. I libri del giorno. «Giovinezza» di Saponaro, in «L’Ambrosiano», 1 febbraio 1927.
[10] Cfr. M. Ramperti, Benvenuto, Saponaro!, in «L’Ambrosiano», 29 dicembre 1924. Questo romanzo ha avuto una ristampa in tempi recenti. Cfr. M. Saponaro, Adolescenza, a cura di Michele Tondo, Congedo, Galatina 1983.
[11] F. Contorbia, Montale e Joyce; una lettura del 1926, in «Poetiche. Letteratura e altro«, I, 1996, pp. 47-68: 52; ora in Id., Montale, Genova, il modernismo e altri saggi montaliani, Pendragon, Bologna 1999, pp. 53-72:57
[12] E. Montale, Presentazione di Svevo, in «Il Quindicinale», I, 2, 30 gennaio 1926, ora in Id, Il secondo mestiere, Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, 2 voll., Mondadori, Milano 1996, I, p.96 (d’ora innanzi SMP).
[13] Ivi, p. 95.
[14] Ora in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996, pp. 1950-1961: 1955. Giorgio Zampa peraltro, nella nota premessa a questo articolo, scrive che «in una lettera ad Angiolo Orvieto del 30 dicembre 1928 […] Montale afferma che nel saggio pubblicato sull’almanacco Bemporad sono presenti “ogni sorta di interpolazioni editoriali”, con ciò riferendosi evidentemente ad aggiunte dell’editore» (p. 1945),
[15] Lettere da casa Montale (1908-1938), a cura di Z. Zuffetti, Ancora, Milano 2006.
[16] Cfr. Cronologia, in TP, p. LXIII. La stessa data si legge nella Cronologia dei volumi successivi.
[17] Cfr. G. Nascimbeni, Montale. Biografia di un poeta, Longanesi, Milano 1986, p. 74.
[18] Cfr. Id, Eugenio Montale, Longanesi, Milano 1969, p. 94.
[19] Cfr. Id, Montale, Longanesi, Milano 1975, p. 94.
[20] Lettere di Montale al Commendatore, in C. Segre, Montale consulente letterario, in Il secolo di Montale. Genova 1896-1996. A cura della Fondazione Mario Novaro, Il Mulino, Bologna 1998, pp.681-692: 685.
[21] Cfr. Cronologia, in TP, p. LXIII.
[22] Ivi.
[23] Cfr. E. Bonora, Dagli «Ossi» alle «Occasioni». Lettere di Montale a Debenedetti, in «Giornale storico della letteratura italiana», CXIII, 863, 1996, pp. 348-391:379.
[24] Cfr. Lettere da casa Montale (1908-1938), cit., p. 601.
[25] Cfr. I. Svevo-E. Montale, Carteggio con gli scritti di Montale su Svevo, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano 1976, p. 51.
[26] Cfr. Lettere da casa Montale (1908-1938), cit., pp. 601-602.
[27] Cfr. Cronologia, in TP, p. LXIII.
[28] La lettera è citata nelle Note a SMP, II, p. 3098.
[29] In E. Bonora, Dagli «Ossi» alle «Occasioni». Lettere di Montale a Debenedetti cit., p. 378.
[30] Proprio «articoli di varietà e “cose viste”» Montale aveva definito gli scritti di Silvio Benco raccolti nel volume La corsa del tempo, da lui recensito nel 1925. Cfr. SMP, I, p. 59.
[31] Questa “nota” è stata pubblicata in SMP, II, pp. 3098-3103.
[32] La lettera è citata nelle Note a SMP, II, p. 3098.
[33] Ora, col titolo L’ultimo Panzini, in SMP, I, pp.189-195.
[34] Note, in SMP, II, p. 3106.
[35] In E. Bonora, Dagli «Ossi» alle «Occasioni». Lettere di Montale a Debenedetti cit., p. 379.
[36] Note, in SMP, II, p. 3098.
[37] Ramperti venne definito uno fra «i giornalisti più interessanti del tempo nostro» da C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano, Libreria d’Italia, 1929, p. 27.
[38] Per un sintetico profilo di questo scrittore cfr. Ri. D’Anna, Ramperti, Marco, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2016, vol. 86, pp. 325-327 (con ampia bibliografia).
[39] Citiamo la nota di Sciascia da Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri, a cura di S.S. Nigro, Palermo, Sellerio, 2003, p. 93.
[40] Cfr. Lettere da casa Montale (1908-1938), cit., p. 602.
[41] Cfr. Cronologia, in TP, p. LXIV. Quasi con le stesse parole Montale informava Piero Gadda in una lettera senza indicazione di data, ma riferibile al 19 marzo 1927, riportata in Eugenio Montale. Immagini di una vita, a cura di F. Contorbia. Introduzione di Gianfranco Contini, Librex, Milano 1985: «Sono qui a fare l’impiegato, con un duro orario: dalle nove alle dodici e dalle due alle sette, et nihil sabato inglese» (p. 103).
[42] G. Nascimbeni, Montale. Biografia di un poeta cit., p. 75.
[43] TP, p. 14.
[44] Cfr. R. Stracuzzi, Considerazioni sulla “giovinezza” in Montale: il caso di Esterina, «Griseldaonline», V (2005-2006), http://www.griseldaonline.it/temi/ai-giovani/giovinezza-in-montale-esterina-stracuzzi.html (consultato il: 19 gennaio 2018); poi, con il titolo “Giovinezza” di Montale: una lettura di «Falsetto», in Griseldaonline. Una rivista letteraria nell’era digitale, a cura di E. Menetti, Archetipolibri, Bologna 2008, pp. 180-204.
[45] TP, p. 502.
[46] TP, p. 514.
[47] SMP, I, p. 347.
[48] La trascrizione delle lettere di Montale, è fedele agli originali. Com’è consuetudine, abbiamo usato il corsivo per i termini sottolineati e abbiamo inserito le nostre (poche) integrazioni tra parentesi quadre.
[49] Montale si riferisce a M. Saponaro, Un uomo . La giovinezza, Mondadori, Milano 1926.
[50] «L’Ambrosiano» venne fondato a Milano da Umberto Notari nel 1922. Montale vi collaborò con otto articoli dal 17 gennaio 1927 al 15 maggio 1928.
[51] Marco Ramperti (Novara, 1886 – Roma, 1964) era il critico teatrale e cinematografico dell’«Ambrosiano». Il nome di Ramperti è citato una sola volta da Montale, nei suoi scritti, a proposito del libro di Arturo Loria, Il cieco e la Bellona (cfr. SMP, I, p. 293).
[52] Cfr. nota 31.
[53] Enrico Cajumi in quegli anni era il direttore dell’«Ambrosiano». Montale lo ricorda come «lontano suo amico d’infanzia» in un articolo, Variazioni, pubblicato in «Corriere della Sera», 12 gennaio 1969, ora in E. Montale, Prose e racconti, a cura e con introduzione di M. Forti, Mondadori, Milano 19962, pp. 1111-1115: 1112.
[54] Il riferimento è ad Arturo Lanocita (Limbadi, Vibo Valentia, 1904 – Milano, 1983), giornalista, scrittore e critico cinematografico, in quegli anni redattore dell’«Ambrosiano». Di Lanocita Montale recensì un romanzo, Gratis, in «Corriere della Sera», 24 aprile 1959, ora in SMP, II, pp. 2187-2189.
[55] Cfr. nota 33.