Progressivamente il termine «woke» si è esteso a molte cause e a molti usi, acquisendo talvolta delle sfumature “mondane”. Spesso viene usato per designare individui o gruppi privilegiati che, nonostante la propria collocazione sociale favorevole, si mostrano coscienti del sistema al quale appartengono, che in varie forme opprime le minoranze. Di conseguenza, con atteggiamenti significativi e con vocabolario adeguato, tali individui e gruppi non esitano a denunziare le discriminazioni esistenti nella società. Ciò avviene anche in contesti che forse non ci aspetteremmo, in alcune occasioni il mondo sembra davvero svegliarsi. Il «New York Times» (prestigioso quotidiano statunitense) ha definito «woke» la 75a edizione della cerimonia di premiazione dei «Golden Globes» al Beverly Hilton Hotel di Beverly Hills in California, arrivata a pochi mesi dall’esplosione a Hollywood dello scandalo sessuale legato ad Harvey Weinstein e dalla nascita del movimento «MeToo». Per combattere le molestie sessuali nell’industria cinematografica e per condannare le disparità di genere, molte attrici decisero di indossare abiti di colore nero sul tappeto rosso dei «Golden Globes», affinché la consegna dei premi potesse diventare «un momento di solidarietà, non una sfilata di moda», come spiegò Eva Longoria, una delle promotrici del progetto. Anche attori di sesso maschile si unirono alla protesta. La «London Review of Books» (periodico letterario e politico inglese di grande rinomanza) ha affermato addirittura che la famiglia reale inglese è ormai «woke», considerate le nozze del principe Harry con l’attrice meticcia Meghan Markle (ma forse non tutta la reale famiglia è «woke», se badiamo ai contrasti interni a quel gruppo familiare, con le allusioni al passato sentimentale della sposa e al colore della pelle dei figli nascituri, su cui le cronache degli ultimi mesi ci hanno abbondantemente informato).
Ecco qualche esempio letto nei giornali italiani Il 22 gennaio 2021 su «Repubblica.it» appare un articolo che cita la parola inglese «woke»: «“Non c’è niente di male a essere ‘woke’”, dice Boris Johnson in un’intervista alla Bbc. “Joe Biden è un buon modello di ‘woke’ per tutti noi”, afferma Lisa Nandy, ministro degli Esteri del governo ombra laburista. Mentre Priti Patel, ministra degli Interni britannica, recentemente si è scagliata contro i capi di Scotland Yard a suo dire “troppo ‘woke’”». Il giornale commenta: «politicamente, [la parola] evoca l’idea di un risveglio di stampo progressista, la consapevolezza di problemi sociali e politici come il razzismo e la diseguaglianza». Il fatto che la si usi frequentemente in coincidenza con l’avvio dell’amministrazione Biden la fa considerare, dopo quattro anni di Trump e trumpismo, una sorta di nuova parola d’ordine della sinistra, americana e britannica, forse pure occidentale in senso più ampio. Lotta al crescente gap ricchi-poveri, impegno contro il cambiamento climatico, condanna senza mezzi termini del razzismo, difesa dei diritti delle donne e delle minoranze. Il 28 agosto, sul sito «https://jacobinitalia.it» appare uno scritto in cui si parla «ideologia “woke”». Il 3 settembre 2021, «Libero» attacca i post di un giornalista (inutile nominare chi scrive e chi viene attaccato) «ricchi di retorica, di narrazione buonista, di moralismo e di “wokeness”, la “consapevolezza etica” che si autoattribuiscono i fari del progressismo spinto» (qui appare anche il sostantivo «wokeness», che indica l’abito mentale dello stare all’erta).
Se mettiamo in serie le citazioni precedenti, vediamo progressivamente cambiare il significato della parola «woke», che nell’ultimo caso acquista una connotazione decisamente negativa. In effetti il termine ha iniziato la sua vita sotto forma di rivendicazione positiva ma, poco alla volta, è scivolato in una sfera diversa o addirittura opposta. All’inizio «essere woke» significava lottare generosamente contro le ingiustizie e lo slogan «sii woke» ‘stai all’erta, mostrati consapevole’ (dell’oppressione), adottato dai movimenti come Black Lives Matter si è progressivamente esteso alla lotta contro altre forme di discriminazione, quelle legate all’orientamento sessuale, all’identità di genere, alla razza, ai difensori del clima. Rimanere «woke»vuol dire essere sveglio, attento, vigile, pronto a combattere tali ingiustizie, anche solo firmando una petizione online o postando le proprie convinzioni sui social (dal dizionario Zanichelli).
Secondo una diversa visione del mondo (una visione di destra, diciamolo senza infingimenti) la parola, ripresa in senso denigratorio o ironico (“iron.” appunta il vocabolario Treccani da cui siamo partiti), qualifica coloro che, più che lottare contro le ingiustizie, sarebbero portatori di una ideologia settaria, moralista e manichea. Nella migliore delle ipotesi, si occuperebbero ossessivamente di minuzie che non richiedono attenzione. In forme estreme i «woke»addirittura attenterebbero alla libertà di espressione; la parola diventa così un insulto rivolto ad avversari politici, a coloro che esagerano nel denunziare ingiustizie che non sono realmente tali. Alcuni sembrano pensare: perché mai dovremmo mai occuparci di quelli che sono discriminati? Fatti loro, non mi riguarda, sembrano pensare alcuni.
Lo scivolamento verso il disvalore della parola «woke» segue una parabola analoga a quella seguita dall’espressione “politicamente corretto”, che per molti oggi suona come accusa (forse ne parleremo ancora). Le parole non sono neutre, possono essere usate in modo distorto, addirittura opposto al significato originario. Penso questo ogni volta che sento inneggiare alla «libertà» da parte di coloro che rivendicano di non volersi vaccinare, incuranti di trasmettere il virus ad altri. Libertà è parola meravigliosa, indica un’aspirazione fondamentale dello spirito umano, per quell’idea molti sono morti e continuano a morire. Fa tristezza vederla usata oggi da coloro che gridano slogan senza senso, senza badare al bene degli altri e alla salute collettiva.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 5 dicembre 2021]