Una monografia di Enrico Tiozzo su Michele Saponaro

            Nel libro l’autore, che insegna Letteratura italiana nell’Università di Göteborg e ha partecipato al Convegno del 2010, ripercorre passo passo tutta la produzione narrativa dello scrittore salentino che comprende oltre trenta volumi, analizzando accuratamente ogni opera. Si parte così dalle prime raccolte di racconti, Le novelle del verde (1908) e Rosolacci (1912), per arrivare all’ultimo romanzo, L’ultima ninfa non è morta (1948), non trascurando altri scritti, come il Viaggio in Norvegia (1926) e il Diario, apparso postumo nel 1962. Ricchissime sono le note a piè di pagina che costituiscono quasi un’ideale antologia della narrativa di Saponaro e dei principali giudizi critici espressi sulle sue opere. Ne viene fuori un ritratto a tutto tondo che non vuole essere un’apologia ma una rilettura critica, a tratti anche severa e impietosa, ma che ha il merito di trarre questo scrittore dall’oblio in cui era caduto ingiustamente dopo la morte.

            Nelle prime novelle che risentono dell’influenza dannunziana, oltre a una forte carica sensuale, comincia a emergere quella tendenza alla contemplazione che per Tiozzo è la caratteristica prevalente della narrativa di Saponaro. Anche nei primi romanzi che gli assicurarono un’ampia notorietà, La vigilia (1914) e Peccato (1919), è possibile notare questa caratteristica, ma qui è presente anche uno dei motivi che compare più frequentemente nelle sue opere, cioè il ritorno alla terra, vista soprattutto come fonte di rigenerazione per l’uomo. Nel secondo si affaccia anche un altro tema ricorrente, quello dell’incesto, di cui l’autore cerca di dare addirittura una giustificazione teorica.

            Nel 1920, insieme a un romanzo, Fiorella, che venne apprezzato dai critici dell’epoca (compreso Borgese), ma che Tiozzo giudica «sostanzialmente privo di trama e d’azione», anche se «di raffinata eleganza formale» (p. 109), Saponaro pubblicò una delle sue opere migliori, La casa senza sole, ristampata nel 2010 presso le Edizioni Lupo di Copertino (Lecce) con una Introduzione dello stesso Tiozzo. Ispirato alla prima guerra mondiale, il romanzo, che è scritto in forma di diario, costituisce una «dolorosa metafora dell’amore materno o, meglio, dell’amore per i figli» (p. 117).

Contemporaneamente ai romanzi, in tutti questi anni, lo scrittore porta avanti, spesso per esigenze commerciali, una produzione novellistica minore nella quale ritornano alcuni dei suoi temi preferiti e in cui compare a volte una singolare vena umoristica.

            Nel romanzo Nostra madre (1921) la  tematica sociale (l’occupazione delle terre da parte dei contadini del Salento) si fonde col dramma borghese, mentre in L’altra sorella (1922) Saponaro sviluppa compiutamente il tema dell’incesto, giustificato con un atteggiamento polemico e di rivolta contro la società borghese e contro i suoi valori tradizionali. Con il ciclo Un uomo, composto di due soli romanzi, L’adolescenza (1924) e La giovinezza (1926), lo scrittore volle comporre invece una sorta di «autobiografia sentimentale» (p. 187). Ma mentre la prima opera è una sorta di summa dei temi e dei paesaggi da lui prediletti, la seconda viene giudicata dal critico un romanzo di formazione sostanzialmente  fallito. Anche i romanzi d’impianto mitologico-fiabesco-fantastico, come La bella risvegliata. Viaggio nel mio giardino (1924) e La città felice (1934) non sono tra le prove migliori di Saponaro, mentre Paolo e Francesca (1930) presenta alcune incongruenze narrative.

            Più felici, per Tiozzo, sono alcune opere che si avvicinano al “romanzo blu”, come Io e mia moglie (1929) e Bionda Maria (1936). Nella prima si rivela l’atteggiamento contemplativo del protagonista, «spettatore delle cose» (p. 257), che Tiozzo assume a simbolo della produzione saponariana. Bionda Maria invece fonde vari generi e filoni narrativi: da quello “campestre” al romanzo di viaggio, da quello sentimentale a quello “coloniale”. Meno riuscito è un altro romanzo di argomento sentimentale, Il cerchio magico (1939), che riprende stereotipi della narrativa protofemminista di fine Ottocento.

            L’ultima opera narrativa, L’ultima ninfa non è morta (1948) è quasi l’apoteosi della poetica saponariana dello spettatore alla finestra, essendo costituita da una serie di quadretti o bozzetti paesani, tenuti insieme dalla cornice del succedersi delle quattro stagioni in un paese meridionale.

            Tirando le fila, in conclusione, Tiozzo ritiene che le qualità migliori di Saponaro siano l’attitudine alla riflessione e la grande maestria stilistica, che si rivela nelle eccellenti capacità descrittive e nel senso vivissimo del colore, mentre ne individua i limiti nella povertà dell’invenzione romanzesca, nella lentezza del ritmo narrativo e nell’incapacità di dare profondità psicologica ai personaggi.

[Recensione del vol. di Enrico Tiozzo, Lo spettatore della vita. Poetica e poesia della contemplazione nella narrativa di Michele Saponaro (Roma, Aracne, 2010), in “OBLIO”, a. I, n. 1, aprile 2011]

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Recensioni e segnalazioni e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *