Gli scritti critici di Vittorio Bodini

Un altro elemento che si riscontra nelle prose di questa stagione è la maggiore attenzione rivolta alla narrativa piuttosto che alla poesia, come si evidenzia negli articoli dedicati a Piovene e Silone, in aggiunta a quelli prima citati relativi a Joyce, Poe e Kafka. Si tratta, d’altra parte, di un periodo in cui l’autore, prima di approdare alla composizione poetica, si dedica in prima persona alla narrativa, scrivendo alcuni racconti, come Restauri e La coscienza d’Antina, quest’ultimo apparso su “Letteratura”

Sono anche gli anni della “ricostruzione”, durante i quali lo scrittore si trova a Roma e interviene attivamente nel dibattito letterario sulla funzione della letteratura in un mondo ormai profondamente mutato, come quello del secondo dopoguerra. In numerosi articoli e interventi critici, come in La cultura tradizionale e la “giovane letteratura”, si delinea un’attenta riflessione sul ruolo della letteratura, alla ricerca di una strada diversa che potesse tenere in debita considerazione l’apertura verso il concreto, verso le “impurità” della realtà, con cui era ormai necessario fare i conti, senza comunque «abdicare alle specificità del linguaggio letterario» (p. 14). La posizione di Bodini, che si inserisce nella polemica già avviata sul settimanale romano “Domenica” qualche mese prima da Alberto Moravia, con il suo intervento Colpe letterarie, e alimentata successivamente dagli interventi di Massimo Bontempelli e Libero Bigiaretti, si rivela piuttosto equilibrata e moderata, poco incline all’individuazione di schieramenti “politici” e all’attribuzione di “colpe”, quanto piuttosto tesa alla ricerca di una conciliazione e di un punto d’accordo, in vista di una ricostruzione che fosse anche letteraria e permettesse alla letteratura italiana di riacquistare finalmente una “funzione europea” (p. 16). Una funzione che non può prescindere dallo scendere a patti con la realtà di ciò che è accaduto, con quella che, nell’articolo Invito alla retorica (con una nota sul gioco d’azzardo), viene definita un’aspirazione ad allargare il gioco: «Allargare il gioco in letteratura significa […] includervi tutte le impurità, tutte le retoriche: e vedere poi se si è capaci di bruciarle» (p. 81), passando dunque anche per un rinnovamento del linguaggio, che per Bodini non dovrebbe mai ridursi alla semplice funzione mimetica e documentaria. D’altra parte, nella ricerca di una “terza via” tra ermetismo e neorealismo, in Mobili prospettive di una letteratura, pubblicato nel 1946 su “Libera voce”, sostiene: «Questo mondo noi non chiediamo sia fatto secondo questa o quella formula, ma che sia innanzi tutto, e poi che tenga conto di quanto è accaduto dentro di noi: ciò che basterebbe a garantirgli una viva impronta di umanità» (p. 103).

L’apertura e l’attenzione al reale appaiono un leimotiv anche negli articoli critici dedicati in maniera più specifica alla poesia, tra cui spiccano Lettura montaliana, Gozzano e La poesía de Ungaretti en Allegria. Il primo costituisce un’interessante riflessione sulla presenza, nella poesia montaliana e in maniera specifica nel passaggio dagli Ossi alle Occasioni, di un «tormentoso e vivace sentimento della polis» (p. 61), che si materializza in «una musa che s’addentra sempre più nelle piazze, ad ogni passo attratta e respinta, senza tuttavia sapersi sottrarre al fastidio di contatti di cui si vendica registrandoli con una precisione crudele» (p. 65). L’intervento dedicato a Gozzano, invece, sembra anticipare l’intuizione della direttrice Gozzano-Montale, fondamentale per l’evoluzione della poesia italiana novecentesca, come sarà poi sostenuto esplicitamente  in seguito dalla critica. L’«anello Gozzano» (p. 87), in effetti, è un passaggio obbligato per comprendere la peculiare trasformazione del linguaggio della moderna poesia, in contrapposizione alla retorica dannunziana. La poesía de Ungaretti en Allegria, infine, costituisce una nota sui caratteri della raccolta ungarettiana, accompagnata dalla traduzione di alcune liriche dell’Allegria, destinata al pubblico spagnolo. In questa nota, Bodini mette significativamente l’accento sull’Ungaretti “uomo di pena” (p. 21), storicamente immerso nel suo tempo, seppur nella natura ontologica della sua poesia.

Negli anni Cinquanta, in seguito al ritorno dal soggiorno spagnolo, l’attenzione dell’autore si concentra attorno a nuovi poli d’interesse, tra cui spiccano la “scoperta del Sud”, messa in rilievo nella recensione al romanzo di Massimo Lely, Via Gregoriana, e la “cospirazione provinciale”, come Bodini stesso la definì in un editoriale della sua “Esperienza poetica”. Infatti, «lo scrittore contrappone alla problematica nazionale che gli sembrava vuota e artificiosa, la concretezza, l’autenticità della provincia» (p. 23), un’operazione che tradurrà in forma poetica anche con le due “Lune”. La scoperta del Sud campeggia anche nell’articolo dedicato a Quasimodo, che «fece come Cristoforo Colombo: cercando l’Eden approdò alle sue terre d’uomo; e questa volta, invece di restare puramente scenografiche […], le sue parole raggiunsero paesi e oggetti reali, che erano d’un territorio vergine nella geografia lirica italiana: il Mezzogiorno, anzi il Sud» (p. 155), diventando, nella prospettiva bodiniana, l’unico poeta civile dell’Italia della guerra e dell’occupazione, grazie alla sua capacità di «scendere col proprio dolore fino al dolore degli uomini, e far sentire loro che almeno una parola cercava di raggiungerli nello sgomento» (p. 157).

Dopo gli anni dell’“Esperienza poetica”, l’attività critica si dirada, per lasciare posto a quella di ispanista e traduttore, come dimostra la presenza nel volume di due soli scritti cronologicamente successivi. Si tratta di uno Studio sulla poesia di Tobino, di cui si elogia il carattere comunicativo e basato sul “sentimento”, e della Lettera a Carmelo Bene sul barocco, risalente all’ultimo anno di vita dello scrittore. La Lettera costituisce un’efficace risposta agli interrogativi sollevati da Bene sulle resistenze che ancora incontrava in Italia il barocco, come dimostrava l’utilizzo di una tale definizione per giustificare il rifiuto del suo film Don Giovanni, a cui lo stesso scrittore aveva partecipato con una breve apparizione. Bodini riconosce i pregiudizi che gravavano sul barocco come inevitabili segni di arretratezza culturale, dal momento che esso viene interpretato come «una condizione presente del nostro spirito» (p. 174), unica grande alternativa al mondo classico, scaturita dall’angoscia e da quell’horror vacui generato dalla perdita delle certezze e dei riferimenti tradizionali, di cui aveva già parlato in una prosa risalente al 1950, che oggi figura nel volume Barocco del Sud. Racconti e prose.

Questa voce è stata pubblicata in Bodiniana, Letteratura, Recensioni e segnalazioni e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *