La narrativa di Antonio Tabucchi: Tristano muore

            La critica ormai è concorde nel considerare Tabucchi come uno dei narratori più importanti di questi ultimi decenni. In particolare, lo considera uno degli esponenti più significativi della narrativa italiana postmoderna. Perché lo colloca in questo filone? Quali sono le principali caratteristiche della sua opera, che poi si ritrovano tutte, come vedremo, in Tristano muore? Intanto il senso di ambiguità del reale, la concezione della vita come “rebus”, “equivoco senza importanza”, per citare alcuni suoi titoli. Poi la riutilizzazione di generi otto-novecenteschi, come il romanzo storico (Piazza d’Italia, Sostiene Pereira), il romanzo fantastico e il poliziesco (La testa perduta di Damasceno Monteiro). Ancora, il costante uso di citazioni, provenienti non solo dal mondo della letteratura, ma anche da quello del cinema, della musica, delle arti figurative. Inoltre, l’aspetto metaletterario, cioè il gusto di fare del racconto l’oggetto di un altro racconto; il gioco di specchi che spesso si crea tra voce narrante e protagonisti e perciò l’adozione di differenti punti di vista all’interno di una stessa opera.

Ma, accanto a questi aspetti di carattere formale, narratologico, una costante della narrativa di Tabucchi è la tensione morale e civile che anima tante sue pagine. Una caratteristica, questa, che lo distingue da tanti altri scrittori contemporanei, e che  lo ha spinto tante volte a prendere pubblicamente posizioni nette nei confronti di certi avvenimenti della politica italiana.

            Nel 1975, con l’editore Bompiani, esce il suo primo romanzo, Piazza d’Italia, ripubblicato poi da Feltrinelli nel ‘93,  la storia di una famiglia di anarchici che vivono in un borgo toscano seguita per tre generazioni lungo l’arco di novant’anni, dal Risorgimento al secondo dopoguerra, un po’ sul modello di Cent’ anni di solitudine di Garcia Marquez, come hanno rilevato i critici. E qui c’è già quella componente importante della narrativa di Tabucchi, la tensione morale e civile che lo porta a denunciare certi mali della storia più o meno recente d’Italia come l’autoritarismo, la dittatura fascista, la corruzione politica.

            A questa prima opera seguirà una lunga serie di romanzi e racconti, nei quali emergono alcune tematiche che caratterizzeranno la narrativa di Tabucchi fino al suo ultimo romanzo. Vediamo allora qualche titolo. Negli otto racconti compresi nel libro Il gioco del rovescio (Il Saggiatore, 1981; poi Feltrinelli, 1988) emerge, ad esempio, uno dei temi fondamentali dello scrittore, prediletto anche da Pessoa, quello del doppio, dell’ambiguità, del mistero dell’esistenza. Qui un io-narrante sempre diverso racconta da due opposti punti di vista le stesse vicende. Il tema della finzione e dell’insondabilità del mistero è presente anche nei racconti compresi in Piccoli equivoci senza importanza (1985), da cui è tratto Rebus.

            Anche nel romanzo breve Notturno indiano (1984), che segna il primo successo di pubblico di Tabucchi, compare questo senso di mistero, di ambiguità. È il racconto, condotto dal protagonista in prima persona, di un viaggio attraverso l’India alla ricerca di un amico che sembra essersi perduto e che forse alla fine, in un gioco di specchi tipico delle opere di Tabucchi, coincide con quello che lo sta cercando. E qui emerge il tema del viaggio inteso soprattutto come conoscenza delle ragioni più profonde dell’esistenza. Anche Requiem (1992) si configura come un allegorico viaggio verso la morte, una sorta di itinerario di conoscenza e di purificazione del protagonista prima di un misterioso appuntamento a Lisbona.

            Il filo dell’orizzonte (1986) è un romanzo che sotto l’apparenza del giallo nasconde un’interrogazione sul senso delle cose. All’origine c’è un omicidio sulle cui tracce si mette il protagonista, una strana figura di detective, Spino, che cerca di dare un nome al cadavere di uno sconosciuto che assomiglia a lui da giovane.

            Sostiene Pereira (1994) forse non ha bisogno di essere presentato. È il romanzo più famoso di Tabucchi, quello che ha avuto anche più successo, di critica, in quanto ebbe il Premio Viareggio e il Campiello. Come è noto, il protagonista è un anziano giornalista, Pereira e l’azione si svolge in un mese d’estate del 1938 a Lisbona durante la dittatura di Salazar. E la storia è quella della progressiva presa di coscienza da parte di Pereira del proprio ruolo sociale e della propria dignità umana e culturale, attraverso la conoscenza del giovane amico Monteiro Rossi, oppositore del regime, che verrà ammazzato dai sicari del dittatore, e il cui omicidio verrà denunciato proprio da Pereira.

            A Lisbona, però ai giorni nostri, è ambientato anche La testa perduta di Damasceno Moreiro (1997), un  romanzo ispirato a un fatto realmente accaduto, (l’uccisione nella sede di polizia di un giovane) in cui c’è la denuncia dei brutali metodi polizieschi e dei complotti burocratici e politici. 

            Tutte le caratteristiche della narrativa di Tabucchi si  ritrovano nell’ultimo romanzo appena pubblicato, Tristano muore (Feltrinelli, 2004), a cui vorrei accennare per concludere. Tristano muore è  la storia di un uomo, ex partigiano, divorato da una cancrena alla gamba, che sentendosi ormai prossimo alla morte convoca uno scrittore, che ha già pubblicato un’opera sulle sue vecchie imprese di guerra, per raccontargli episodi della sua vita. Il romanzo consiste quindi in un lungo interminabile monologo del protagonista che rievoca episodi della sua vita senza un ordine logico o cronologico, ma andando alla ricerca di un senso di questa vita. Così i ricordi passati, dall’infanzia alla giovinezza alla maturità, si alternano ai fatti presenti, le riflessioni si mescolano ai sogni, ai deliri, provocati anche dall’uso della morfina, gli episodi importanti a quelli apparentemente trascurabili.

            Episodio centrale della vita di Tristano è l’uccisione, per mano di un reparto di soldati tedeschi, di un capo partigiano, su cui ritorna spesso, ma che fino alla fine rimane avvolta nell’oscurità, nell’ambiguità appunto. Perché non si riesce a capire chi ne ha effettivamente causato la morte, tradendolo, se lo stesso Tristano, che pure ammazza il reparto tedesco con una mitraglia, diventando un eroe, per divergenze di carattere ideologico o per rivalità a causa di una donna americana, Marilyn, o se è la stessa Marilyn. Questa donna, che è la figura femminile più importante del libro, insieme alla cretese Daphne, ricompare poi lasciando a Tristano un figlio adottivo che morirà preparando una bomba per un attentato di matrice nera. Daphne invece è la giovane donna che lo ha salvato a Creta dopo che Tristano aveva ammazzato un tedesco che aveva ucciso due civili inermi.

            Ma anche qui la riflessione esistenziale, di natura privata, sul senso della vita e della morte va di pari passo con quella sulla storia italiana, ma non solo, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. E intensissime sono alcune pagine dedicate a certe mostruosità della storia, come lo scoppio della prima bomba atomica su Hiroshima, o quelle sulla delusione per certi sviluppi recenti della società italiana e sull’affermarsi di una nuova divinità, quella della televisione (“il pippopippi” o “purga catodica”) che bandisce “ogni immagine portatrice di pensiero”.

            Anche qui c’è un continuo gioco di citazioni, di materiali alti e non della cultura letteraria, musicale, cinematografica e figurativa. Si va, tanto per fare qualche esempio, in campo letterario, da citazioni di versi e titoli di Dante, Leopardi, Foscolo, Joyce, Kavafis, Hemingway, García Lorca a Visconti Venosta e Angiolo Silvio Novaro; in campo musicale, da Schubert al jazz alle canzonette (il romanzo incomincia proprio con la citazione del testo di Rosamunda, una canzone degli anni Trenta). E così si citano titoli e frasi di film famosi, come Via col vento, Il cavaliere della valle solitaria, Il diavolo, probabilmente.

            Anche in Tristano muore Tabucchi ricorre all’adozione di differenti punti di vista, di Tristano e dell’io-narrante che a volte non coincide con il protagonista, creando un suggestivo gioco di specchi, e così anche qui, il sogno si alterna alla realtà. Un romanzo, per concludere, del quale non è difficile prevedere una trasposizione cinematografica, a conferma di questo fecondo rapporto esistente tra letteratura e cinema in Antonio Tabucchi.

[Presentazione dell’Incontro con Antonio Tabucchi, tenuta in occasione del Festival del cinema europeo, Lecce, Cinema Santalucia, 23 aprile 2004. Testo inedito]

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