di Antonio Errico
Accade sempre più frequentemente, come condizione strutturale della nostra esistenza e quindi come conseguenza naturale della relazione che si stabilisce con la conoscenza, che con i fatti e i fenomeni della cultura si stabilisca un rapporto superficiale, frettoloso, concitato, sbrigativo, anche effimero. Non abbiamo tempo per soffermarci, per riflettere. Non abbiamo tempo per elaborare considerazioni, comparazioni, confronti. Non abbiamo tempo, possibilità e forse neppure competenza per annodare le esperienze di conoscenza del presente con quelle del passato e le proiezioni nel futuro. Non abbiamo tempo, forse non abbiamo neppure interesse, forse non abbiamo neppure desiderio. Accade con un libro, con un film, con le opere in un museo, con una cripta bizantina, con un’opera di teatro. Accade con le esperienze con cui ci confrontiamo quotidianamente. Passa tutto con la stessa rapidità con cui arriva. I fatti e le cose della cultura non hanno il tempo, la possibilità, la sistematicità che consentono di trasformarsi in sistema, di organizzarsi in categoria, di costituirsi come riferimento. Molto spesso di essi non rimane nessuna sostanza. Le forme e le espressioni culturali non acquisiscono nessuna condizione di storicità e quindi non producono memoria. Senza memoria non c’è comparazione e quindi non c’è possibilità di scelta. Forse si potrebbe anche dire che, senza memoria, tutte le cose, e quindi anche le cose della cultura, si svuotano di essenza, di significato sostanziale. Allora tutto si riduce ad un gesto di consumo. Prendiamo quello che ci viene da sollecitazioni estemporanee, lo consumiamo in fretta, lo dimentichiamo.
La marea dell’oblio dilaga e sommerge. Possiamo dirci: non c’è stato mai un tempo in cui l’uomo abbia avuto tanta informazione. E’ vero ed è bello. Possiamo anche dirci che non c’è stato mai un tempo in cui l’informazione abbia avuto una durata così breve. E’ vero anche questo, ma questo non è bello.