Questi diversi aspetti che caratterizzano la personalità di studioso di Ferroni, lo storico della letteratura, il critico della contemporaneità, ma anche il polemista appassionato che riflette sul ruolo della letteratura oggi, si ritrovano tutti in Verso una civiltà planetaria (1968-2005). Questo volume è una sorta di panorama delle più recenti tendenze della nostra letteratura e al tempo stesso una riflessione sui destini, sulla funzione della letteratura oggi, sulla letteratura ai tempi di Internet, della televisione, della pubblicità e di altri mezzi di comunicazione sempre più dilaganti e pervasivi.
In esso si traccia un profilo della letteratura italiana negli ultimi tre decenni del Novecento e nei primi cinque anni del Duemila, intrecciando lo svolgimento delle vicende letterarie, secondo la lezione di un rinnovato e dinamico storicismo (non bisogna dimenticare che Ferroni è stato allievo di un maestro dello storicismo novecentesco come Walter Binni), con gli avvenimenti storici, culturali, con le trasformazioni sociali avvenute in questo periodo, con l’avvento delle nuove tecnologie. Si parte quindi dal Sessantotto, che tante “illusioni rivoluzionarie” suscitò, per arrivare ai “nuovi terribili conflitti che mettono in causa il destino stesso della civiltà”, quelli dei nostri giorni. In tal modo si riesce a offrire un quadro completo dei fenomeni che caratterizzano i nostri tempi, con i quali anche la letteratura deve fare i conti: la globalizzazione, il dominio della pubblicità, l’emergenza ecologica, le nuove tecnologie e i mezzi di comunicazione, le trasformazioni dell’editoria e del giornalismo, la nuova figura dell’intellettuale. Così pure emerge il contesto culturale di questo periodo, che è stato definito “postmoderno”: dalla filosofia alla teoria della letteratura, dalla produzione letteraria straniera di cui egli offre alcuni esempi significativi (Perec, Bernhard, Saramago, Marìas, Garcia Marquez, Roth, Yehoshua, Delillo), alla critica letteraria e allo spettacolo e alla scrittura drammatica.
Poi Ferroni delinea un vero e proprio panorama della letteratura italiana in questo periodo dividendo gli scrittori presi in esame in generazioni: quella più anziana che dimostra una “resistenza della letteratura” e che annovera, fra gli altri, i nomi di Zanzotto, Giudici, Raboni, Volponi, Malerba, Arbasino, Consolo, Bufalino; la generazione del Sessantotto, con Bellezza, Cucchi, De Angelis, Conte, Celati, Cavazzoni, Debenedetti, Vassalli, Tabucchi, ecc.; le ultime generazioni. Questo argomento è affrontato nell’ultimo inedito capitolo, aggiunto in questa edizione, che dà conto appunto degli sviluppi più recenti della letteratura italiana. E qui il critico distingue opportunamente, nell’ambito della cosiddetta “letteratura giovane”, tra coloro che vanno alla ricerca del best seller (come, ad esempio, Susanna Tamaro), o che seguono altri filoni alla moda (il televisivo, il noir, il cyberpunk), e quei narratori che hanno saputo offrire uno spaccato più convincente del mondo giovanile dagli anni Ottanta ad oggi (De Carlo, Busi, Tondelli, Brizzi, Balestra), mentre non lesina un giudizio fortemente negativo verso uno scrittore di successo come Alessandro Baricco, con cui ha avuto una polemica. Un altro filone è quello degli “sperimentali”, a cui appartengono i cosiddetti “cannibali” (Nove, Scarpa, Vinci, Ammanniti, Santacroce, ecc.), mentre per quanto riguarda la narrativa delle nuove generazioni cita, fra gli altri, Lodoli, Veronesi, Onofri, Mari, Affinati, Di Stefano, Montesano e la pattuglia dei cosiddetti “disertori”, alcuni scrittori che hanno rinnovato i canoni della narrativa meridionale, come De Silva, Piccolo, Pascale, Calaciura e altri.
Diverso il discorso che fa per la poesia, sempre più emarginata nell’universo della comunicazione corrente, anche – come osserva Ferroni – per la mancanza di una nozione condivisa su ciò che può essere considerato “poetico”, come invece avveniva ancora fino agli anni Settanta-Ottanta del ‘900. E a questo proposito fa i nomi, fra gli altri, di Bellezza, D’Elia, Magrelli, De Angelis, Anedda, distinguendoli da una linea più sperimentale a cui appartengono Lello Voce, Gabriele Frasca, Tommaso Ottonieri e altri.
Molti degli scrittori che ho citato e altri ancora vengono poi antologizzati con uno o più testi nella seconda parte del libro. E qui l’autore si limita a una sintetica introduzione-presentazione e ad alcune note essenziali a piè di pagina, rifiutando quell’eccesso di apparati che appesantiscono tanti manuali e antologie scolastiche e dando invece, come dice lui stesso, centralità alla lettura diretta, sia pure guidata appunto dal suo sobrio commento.
Nel paragrafo conclusivo del capitolo quinto Ferroni si dimostra perfettamente al corrente dei rischi che si corrono nel voler dar conto delle vicende della letteratura contemporanea di questi ultimi anni, ancora così magmatiche e fluide, essendo consapevole anche della provvisorietà di questi giudizi, dal momento che manca quella necessaria distanza che permette di avere una chiara idea del valore, del peso di ogni singolo autore e di ogni singola opera e di guardare quindi le cose in prospettiva. Di una sola cosa egli è pienamente convinto, cioè della necessità della letteratura nel mondo d’oggi, della fondamentale funzione che può svolgere in una società come quella attuale, nonostante tutte le difficoltà, la marginalizzazione, la perdita di prestigio, ecc.
Questa profonda fiducia nel valore etico, sociale della letteratura e nella necessità della sua sopravvivenza è ripetutamente ribadita in un’altra pubblicazione di Ferroni che consiglio vivamente a tutti coloro che si interessano a vario titolo di letteratura. Si tratta di un volumetto intitolato I confini della critica, pubblicato anche questo nel 2005 dall’editore Alfredo Guida di Napoli, e che ha avuto il merito, insieme ad altri libri di Mario Lavagetto e di Romano Luperini, di suscitare un vivace dibattito sulla stampa periodica a proposito della letteratura oggi, della funzione della critica letteraria, ecc.
Ovviamente non posso passare qui in rassegna tutti i problemi affrontati da Ferroni. Mi soffermerò rapidamente solo su quello che ci interessa di più in questa sede, il problema cioè della crisi attuale della letteratura in una società tutta proiettata verso il consumo, l’effimero, la velocità, la sua marginalizzazione nel sistema culturale ed educativo, e quindi nella scuola, nell’università, a causa anche delle ultime dissennate riforme. La letteratura (e questa è una constatazione che tutti coloro che insegnano possono fare) incontra sempre maggiori difficoltà presso le nuove generazioni di studenti, sembra aver perduto il suo fascino, la sua aura, il suo appeal, come una volta invece quando costituiva il luogo centrale, privilegiato per la formazione (e qui Ferroni rievoca anche la sua personale vicenda biografica, comune a tanti, di giovane appassionato di libri e di lettura). Non c’è bisogno nemmeno di fare degli esempi, che tutti d’altra parte conosciamo benissimo, per accorgerci come i ragazzi oggi sono più attratti in genere da altre forme di sapere, di conoscenza (il computer, l’informatica, prima di ogni altra).
Qual è allora la soluzione che Ferroni dà a questo problema, al problema cioè della crisi della letteratura, intesa qui soprattutto come insegnamento della letteratura? Rivendica fortemente il valore e la funzione che può svolgere oggi la letteratura, il contributo importante che può dare alla tenuta del tessuto sociale, per la sua capacità di conoscenza critica del mondo, per la possibilità di conservare la memoria del passato, per la forza che essa ha di opporsi, di resistere all’universo telematico-virtuale-pubblicitario che ci sta travolgendo. Per questo anche la scuola, l’università devono favorire, non ostacolare un corretto approccio dei giovani ai testi, devono poter far loro conoscere tutta la ricchezza, la complessità che i classici antichi e moderni conservano. Molto spesso invece, e qui ritorna il polemista appassionato, (ma non si può non condividere la sua analisi) i programmi scolastici con la cosiddetta “analisi del testo”, finiscono col far perdere proprio il contatto con l’opera letteraria, rinchiudendola in una serie di gabbie, di schemi, di griglie, che ottengono l’effetto opposto, quello cioè di allontanare i giovani lettori dal testo.
Ma a parte questo problema più circoscritto, la domanda che Ferroni si fa e che è anche il titolo di uno dei saggi compresi nel libro, è questa: “Salvare la letteratura?”. A questo interrogativo ovviamente l’autore risponde di sì per tutte le ragioni che si sono accennate e per tante altre ancora che sono esposte nel libro: “bisogna ‘salvare’ il carico di memorie, di bellezza e di libertà, di gioia e di dolore, di lacerazione e di conciliazione, di desiderio e di speranza affidato alla letteratura”. Anzi bisogna sentire la letteratura – prosegue il critico – come una sorta di religione, come una religione laica, che si oppone con la sua radicale alterità a tutto il contesto spesso degradato in cui viviamo. Questo è il messaggio più forte, mi sembra, che ci arriva dai recenti libri di Ferroni e anche per questo motivo tutti coloro che si occupano a vario titolo di letteratura, quelli che insegnano letteratura, quelli che amano la letteratura devono essergli profondamente grati.
[Presentazione dell’Incontro con Giulio Ferroni sul tema “Che cosa fa oggi la letteratura italiana” , Lecce, Liceo scientifico “Banzi Bazoli”, 28 aprile 2006. Testo inedito]