di Giovanni Invitto
Quando Alessandra Corsano mi ha portato le sue poesie da leggere, non ci conoscevamo se non per episodici e brevissimi dialoghi sulla tribuna globale di oggi qual è facebook. Non c’è da meravigliarsi, perché l’esistenza è sempre e per tutti un gioco di incontri. La mia età mi permette di ricordare un disco apparso nel 1969 (con Fonit-Cetra) che aveva per titolo la prima parte del titolo che ho posto a queste brevi riflessioni. Alessandra non era ancora nata. Nel disco erano testi o canzoni con voci di Vinicius de Moraes, notissimo cantautore di Rio de Janeiro, di Sergio Endrigo, importante e fine cantautore italiano, e dulcis in fundo, con la voce rauca e cadenzata del poeta Giuseppe Ungaretti che leggeva alcune sue poesie.
Pertanto quando ho conosciuto Alessandra e la sue poesie non potevano non tornarmi alla mente quel long-playng in vinile e il suo titolo. Gli incontri tra persone sono arte e casualità. Ho letto i fogli che mi ha lasciato, poco più di quaranta componimenti. La mia impressione è che le poesie di Alessandra Corsano meritino una lettura attenta e partecipe. Sono poesie scritte da lei negli ultimi mesi, meno di un anno, quindi nascono da vissuti e situazioni interiori che hanno sempre le stesse vibrazioni e le stesse attese.
Avanzo alcune considerazioni e suggestioni come semplice lettore, anticipando che non sono la critica elaborata da un «addetto ai lavori». Potrei legittimare la mia lettura con l’aver insegnato per un decennio Estetica nel mio Ateneo. Ma è giusto che confessi che lo faccio perché a me piace leggere la poesia in genere, anche se Quasimodo – tra l’altro un poeta che amo da quando avevo diciotto anni – affermò, nel discorso tenuto per la consegna del premio Nobel (1959), che «i filosofi sono nemici naturali dei poeti». Se io rientro tra i filosofi (visto che insegno filosofia da decenni), si sbagliava grossolanamente, perché anche ai filosofi piacciono i poeti. Potremmo citare il caso apicale di Martin Heidegger, ma torniamo a parlare della poetessa salentina.