Per la It, l’etichetta discografica di Vincenzo Micocci, è produttore, tra gli altri, di Sergio Caputo e di Grazia Di Michele. Fu lui a portare al Folkstudio Rino Gaetano, di cui fu di fatto il pigmalione. Ancora una volta ritorna il nome del Folkstudio, perché questo luogo ha visto gli esordi di buona parte del cantautorato italiano degli anni Sessanta e Settanta, certamente di tutta la scuola romana. Fu qui che si cementò il sodalizio De Gregori-Lo Cascio e quello fra De Gregori e Venditti che portò all’incisione del loro primo album, Theorius campus. Al Folkstudio si legano i nomi di Luigi Grechi, fratello maggiore di De Gregori, Edoardo De Angelis, Riccardo Cocciante, e poi dei grandi autori di canzoni di protesta come Fausto Amodei, Giovanna Marini, i Cantacronache, Paolo Pietrangeli, e anche di un importante discografico come Vincenzo Micocci che con la sua etichetta, It, scritturò buona parte di questi giovani talentuosi. Vincenzo Micocci (proprio quel “Vincenzo io ti ammazzerò” della nota canzone di Alberto Fortis), ritenuto un genio nell’ambito musicale, aveva fiuto e grande talento: molto bello il ritratto che ne fa il figlio Stefano Micocci, il quale insieme a Carlotta Ercolino firma il libro Rino Gaetano. Un mito predestinato. La favola del successo e della fine di Rino Gaetano e degli anni ‘70, edito da Terresommerse (2011). Tornando a Bassignano, egli ha fatto di tutto, anche il teatro con Gian Maria Volontè, nell’esperienza del “Teatro politico di strada”. Nipote dello straordinario musicista Lorenzo Carpi, ha respirato fin da piccolo aria di musica a casa sua. Dopo i primi due album, carichi dei significati politici delle loro canzoni, pubblica “D’Essai”, nel 1983 e poi Bassingher, nel 1985, e ancora nel 1989 La luna e i falò, con Stelle da rubare, in cui suona l’armonica Francesco De Gregori. Tutto questo è ora riassunto nel libro biografico Canzoni pennelli bandiere supplì, edito in ristampa da Les Flaneurs, 2017, in cui Bassignano, utilizzando lo pseudonimo di Tinin, ripercorre la propria vita. Il libro, con Prefazione di Antonello Venditti, è un documento importante anche su una temperie culturale che tanto ha dato alla musica italiana. Suggestivo pensare che in un piccolo locale di Trastevere sia passato il fior da fiore della musica italiana e internazionale degli Anni Sessanta e Settanta. Lì si esibì anche un giovane Bob Dylan. Questo circolo culturale venne fondato dal pittore e musicista afroamericano Harold Bradley il quale però dopo alcuni anni ritorna in America e lascia il locale a Giancarlo Cesaroni, e infatti il simbolo del locale, una mano bianca che stringe una nera, sta a rappresentare proprio il passaggio del testimone da Bradley a Cesaroni. Il Folkstudio diventa presto di moda e viene frequentato da moltissima gente e dalle più interessanti giovani leve della musica leggera, comeClaudio Lolli, Matteo Salvatore, Gianni Togni, Stefano Rosso, al quale alcuni anni fa Simone Avincola ha dedicato un film dal titolo “Stefano Rosso. L’ultimo romano”, visibile in rete sulla pagina del giovane regista. Al Folkstudio debuttano Mimmo Locasciulli e Corrado Sannucci. Francesco Guccini nel 1973 registra il suo disco Opera buffa proprio dal vivo nel locale, Antonello Venditti cita il Folkstudio nella canzone Dove. Claudio Lolli gli ha dedicato una canzone contenuta nell’album Dalla parte del torto, e così anche Ernesto Bassignano, nel suo disco Vita che torni. Negli anni Novanta, l’attività del locale si sposta nella libreria “L’uscita”, poi in via Sacchi e continua infine nella sede di via Frangipane (vicino al Colosseo) fino al 1998, anno della scomparsadi Giancarlo Cesaroni. Tantissime le esibizioni dal vivo che si sono tenute al Folkstudio nel corso degli anni e che sono raccolte alla voce “Archivio Folkstudio”, dall’Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi del Ministero Beni Culturali.
Bassignano si intrattiene sul filo dei ricordi, nel libro in parola, fra disincanto e velata nostalgia. Come conduttore radiofonico, la sua creatura più conosciuta è sicuramente la trasmissione di satira sociale Ho perso il trend, su Radio-Uno-Rai, condotta, dal 1999 al 2011, insieme al giornalista sportivo Ezio Luzzi. E dalla fortunata esperienza della trasmissione radiofonica nasce il libro Trend e loden, Garzanti 2006, in cui i due personaggi narranti, Bax (che diventa da allora lo pseudonimo di Bassignano) e Lux (Luzi) sbertucciano personaggi e tendenze degli italiani. Questo ci porta alla vena corrosiva, a tratti velenosa, del carattere di Ernesto, con quel gusto di fare satira su tutto, e di dire sempre la propria, anche sfrontatamente. Nel 1989 compone Mi chiamo Gian Maria, sigla della trasmissione televisiva “Diogene” di Antonio Lubrano.
Dopo essere stato licenziato dalla Rai, chiusa la sua trasmissione, passa a Radio Città Futura, dove conduce la trasmissione Radio bax, nel paese degli struzzi, e poi successivamente Rodeo insieme a Pierluigi Siciliani. Nel 2007, pubblica l’album Trend e trend, nel 2009, Al di là del mare. Ma forse dà il meglio proprio negli ultimi lavori. Nel 2014 pubblica Vita che torni, un album denso, compatto, coerente, con atmosfere vagamente jazz e brani cantati con un fil di voce dal vecchio Ernesto. Nel disco tutte le tracce sono pregevoli, da Vita che torni a Sotto il cemento, da A Pasqua a Folkstudio dove sei?. La strada è un brano scritto con Umberto Bindi e dedicato a Federico Fellini. Nel 2016 esce il suo ultimo lavoro, Il grande Bax, con tracce notevoli fra le quali Lo chiamavano artista.
Canzoni pennelli bandiere supplì è insomma un libro utile per scoprire o riscoprire un cantautore di talento, il vecchio Bax, ed una piccola cantina, il Folkstudio, che ha fatto la storia della musica italiana.