di Francesco D’Andria
Nell’ambito della Mostra dedicata a Vetulonia, una delle città della Dodecapoli etrusca, presso il MArTA di Taranto, il Museo ha organizzato un Convegno, a cura di Eva Degl’Innocenti e Simona Rafanelli, sui rapporti tra Magna Grecia ed Etruria nel quadro dell’Italia preromana: un’occasione importante per un confronto tra studiosi, a livello internazionale, dopo il lontano Convegno di studi sulla Magna Grecia del 1993, anch’esso celebrato a Taranto, dal titolo “Magna Grecia, Etruschi e Fenici”.
I numerosi interventi tratteranno temi molto diversi, tesi a comprendere le relazioni tra queste due aree dell’Italia antica dove si sviluppa una straordinaria esperienza culturale, alla base della civiltà europea, che vede, a Sud, il fiorire delle colonie elleniche, con la nascita della letteratura, della filosofia, del teatro, della grande arte figurativa, e, nell’Italia centrale, le grandi città etrusche, aperte, dagli approdi del Tirreno, ai più vasti traffici commerciali marittimi; da queste esperienze deriva la realtà che diede origine a Roma.
In un tale complesso quadro di relazioni la Puglia, con le sue genti, diverse ma unite dalla comune origine iapigia, giocò un ruolo molto originale, aprendosi ad esperienze intense di contatti, con i Greci insediati nel grande arco del Golfo ionico, e con gli Etruschi, sia attraverso le valli fluviali degli Appennini, che lungo le coste adriatiche, sino alle foci del Po, l’antico Eridano, dove sorgevano emporî famosi come quello di Spina. Dauni, Peuceti e Messapi mantennero tuttavia sempre intatta la loro orgogliosa indipendenza, resistendo a successivi tentativi di annessione da parte dei Greci, e svilupparono una cultura originale, mantenendo anche la propria lingua sino a quando, nel III sec. a.C., i Romani completarono la conquista dell’Italia meridionale. Che gli Apuli fossero un popolo guerriero risulta da numerose testimonianze degli storici antichi e Dionigi di Alicarnasso, nell’età di Augusto, riporta un episodio, avvenuto nel 524 a.C., in cui i Dauni, alleati con Umbri ed Etruschi (certamente quelli insediati in Adriatico), mossero una spedizione contro la metropoli ellenica di Cuma. L’esercito dei “barbari” (così i Greci indicavano chi non parlava la loro lingua) fu tuttavia sbaragliato dalla cavalleria del cumano Aristodemo il quale, forte della vittoria, potè rovesciare il governo aristocratico della città e divenirne il tiranno. Possiamo immaginare questi guerrieri daunî guardando, nello straordinario Museo di Manfredonia, le stele che sovrastavano le loro tombe nelle necropoli di Siponto e di Salapia; nelle sculture di pietra essi indossano elmi conici, lamine bronzee a protezione del cuore, scudi rotondi, spade corte di ferro sopra le tuniche che recano immagini con scene di caccia, di combattimenti sui carri, di processioni. Si tratta di un abito pictum, ossia istoriato a ricamo, come quelli che indossavano a Roma e nel mondo etrusco i Salî, sacerdoti che custodivano gli scudi votivi, pegno dell’invincibilità dell’Urbe.