La sospensione dei vincoli europei e la gestione del debito pubblico

Ma vediamo quali sono le proposte di modifica delle regole europee che circolano nella discussione in corso. Le più quotate sono tre. La prima, come proposto dal ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, ipotizza un approccio differenziato per Paese alla riduzione del debito. Non è possibile applicare a paesi con una situazione debitoria e a economie differenti le stesse regole, in modo particolare quella della riduzione di un ventesimo del debito all’anno per venti anni. La seconda ipotizza una golden rule che storni dal calcolo del debito le spese per le trasformazioni ecologica e digitale. Questo permetterebbe di mantenere alta la spesa in investimenti senza sforare i limiti del deficit. Si pensi a questo proposito che, solo per gli investimenti verdi, si prevede una spesa europea di 350 miliardi all’anno. Infine, i Paesi mediterranei vorrebbero trasformare il programma Next generation EU da provvedimento una tantum, dovuto all’eccezionalità della crisi, in un vero e proprio bilancio europeo che fornisca il pilastro fiscale della Ue, il quale a sua volta rappresenterebbe il presupposto per realizzare la tanto auspicata e ancora lontana unione bancaria e del mercato finanziario.

Riguardo a queste proposte, però, ci sono da fare dei rilievi, che sono almeno di tre tipi. Il primo è il più ovvio: le suddette proposte di riforma troveranno l’opposizione degli otto “frugali” e della Germania. Questi Paesi ritengono che gli investimenti non si finanziano a debito, ma con i profitti che generano, le tasse o i tagli di spesa. Il debito è sempre malsano, indipendentemente da tassi e crescita economica. Senza contare che il principio di parità di trattamento sul debito tra i vari Paesi non si tocca perché è garanzia contro la frammentazione di mercato unico, concorrenza e Unione. Il secondo riguarda il fatto che la trasformazione di NGEU nel nucleo del bilancio europeo mutuerebbe le modalità di erogazione dei fondi dalle regole del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quest’ultimo, infatti, vincola gli esborsi non solo alla verifica degli investimenti ma soprattutto alla attuazione di riforme, sono il frutto avvelenato della proposta, perché si tratta di vere e proprie controriforme antipopolari, come quelle sulle pensioni, sul costo del lavoro, sulle tasse, ecc. Quindi, si tratterebbe di rendere stabile un meccanismo di pressione e di condizionamento, in senso ovviamente neoliberista, delle politiche sociali dei Paesi dell’Ue. Il terzo riguarda i beneficiari della spesa. La golden rule sulla trasformazione ecologica e digitale beneficerebbe le imprese e non la maggioranza della popolazione. Del resto, si è visto che il Pnrr italiano stanzia la maggior parte dei fondi per ecologia (59,5 miliardi pari al 31,1%) e digitalizzazione (40,32 miliardi, pari al 21,1%), mentre destina alla sanità una parte piccola dei fondi (8%), che, fra l’altro, sono rivolti in parte alla sanità privata. Si tratta di una dote di 15,6 miliardi effettivi (più 2,9 miliardi del fondo complementare e 1,7 di React Eu), molto lontana dal fabbisogno di 64 miliardi segnalato dal ministro della sanità, Speranza.

Ciò che appare essere in atto è uno scontro tra Stati e frazioni di capitali nazionali. Da una parte, ci sono la Germania e i “frugali” e, dall’altra parte, i paesi mediterranei, guidati dalla Francia e dall’Italia. L’obiettivo, per i Paesi mediterranei, che hanno subito maggiormente i colpi della crisi e sono penalizzati da debiti più alti, è avere risorse statali sufficienti per sostenere il proprio capitale. La regola su un eventuale storno degli investimenti digitali e ecologici va in questo senso, così come le misure previste dal governo italiano: lo stanziamento di 6 miliardi per finanziare una nuova stabilizzazione triennale del bonus fiscale per Transizione 4.0, il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, il rifinanziamento della Sabatini per l’acquisto di beni strumentali e il fondo di garanzia per le Pmi. Tutto questo non mancherà di impattare sul resto della spesa, a partire da quella sociale e dagli ammortizzatori sociali, che subiranno tagli per permettere di contenere il deficit pubblico. Significativo in questo senso è quanto affermato da Daniele Franco, ministro dell’economia: a causa dell’aumento previsto dei tassi d’interesse, nei prossimi anni bisognerà ritornare agli avanzi primari abituali nell’Italia del pre-Covid. Ricordiamo che la realizzazione degli avanzi primari comporta che, al netto della spesa per interessi, le spese dello stato siano inferiori alle entrate. Quindi, si dà per scontato il ritorno al passato in tempi più o meno brevi. L’Europa è l’unico orizzonte possibile, come non ha mancato di ricordare recentemente Mario Draghi. Le proposte di cui il suo governo si fa promotore in Europa riguardano l’aumento della spesa per certi settori e non per altri. Ad esempio, Draghi non manca di ricordare la necessità di una difesa unica europea, che dovrebbe fornire la base per una politica internazionale comune della Ue sia sul piano politico-diplomatico sia sul piano commerciale. Ciò richiederà un aumento della spesa militare che comporterà il taglio di altre voci del bilancio statale. L’interesse dei settori sociali che appoggiano Draghi è diretto a rafforzare l’integrazione europea e non ad allentarla, procedendo alla realizzazione di un bilancio e una fiscalità unitari che siano alla base di un mercato finanziario e bancario unito, che porteranno alla centralizzazione e al rafforzamento del capitale europeo verso i suoi concorrenti maggiori, Usa e Cina.

In conclusione, non siamo alle porte di una vera e radicale riforma della Ue, quanto piuttosto davanti a una riforma limitata a favorire alcuni pezzi di capitale europeo in maggiore difficoltà e che lascia sostanzialmente intatto (anzi per certi versi lo rafforza) il ruolo e la funzione delle regole di bilancio europeo tese alla compressione del salario diretto, indiretto (welfare) e indiretto (pensioni).                                              

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