di Antonio Lucio Giannone
Nel 1958-59 Giacomo Debenedetti dedicò il corso di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea, disciplina della quale era incaricato presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma, alla poesia italiana del Novecento. Era la prima volta che il grande critico si occupava di questo argomento, sul quale peraltro non ritornò più nemmeno in seguito. Anche i suoi corsi universitari successivi, dopo due su Tommaseo, saranno incentrati per ben sei volte di seguito, dal 1960-61 fino al 1965-66, sulla narrativa moderna, l’oggetto privilegiato delle sue ricerche e dei suoi studi, da cui uscirà quel capolavoro della critica novecentesca che è Il romanzo del Novecento, apparso postumo nel 1971.
Per quanto riguarda i poeti italiani contemporanei, egli si era interessato soltanto, a più riprese, di Umberto Saba, che aveva seguito ininterrottamente dal 1923, con un saggio pubblicato su “Primo Tempo”[1] e poi entrato a far parte, insieme con un altro, apparso su “Solaria” nel 1928[2], della prima serie dei Saggi critici (1929), fino al 1959, all’indomani della morte del poeta triestino, con alcuni scritti poi raccolti nella sezione Ultime cose su Saba del volume Intermezzo (1963). Ma Saba, come ha scritto Eugenio Montale, non senza forse una leggera allusione polemica, «sembra tagliato su misura, nato per essere capito da lui»[3]. E in effetti si sa anche, per usare le parole di Berardinelli, che «quasi l’intero Novecento di Debenedetti si irradia dalla lettura assidua, dal commento ossessivo, dalla devota, ininterrotta fedeltà»[4] a due autori: Proust e Saba, appunto.
Del tutto episodico invece è lo scritto intitolato Commento a un poema di Ungaretti, apparso su “Orizzonte italico” nel lontano 1924[5], che è l’unico altro titolo relativo ai poeti novecenteschi presente nella pur ampia Bibliografia debenedettiana[6].