di Rosario Coluccia
La coesistenza di genere maschile e femminile, strutturale nella lingua italiana, comporta soluzioni specifiche nella concordanza del plurale. In frasi in cui i nomi sono tutti maschili o tutti femminili, l’aggettivo mantiene il loro genere e si declina al plurale. «Indosso un abito e un gilet ben stirati» (perché abito e gilet sono maschili); «Porto sempre con me una cartella e una rubrica nere» (perché cartella e rubrica sono femminili). Se i nomi sono di genere diverso, l’aggettivo si declina al maschile plurale: «Ho fatto amicizia con un ragazzo e una ragazza spagnoli». Se tre bambini e due bambine giocano in cortile posso correttamente dire: «Cinque bambini giocano in cortile». La frase non cambia se nel cortile giocano quattro bambine e un bambino, cioè la scelta della forma maschile «bambini» non dipende dalla maggioranza numerica. È il cosiddetto maschile sovraesteso, normale nell’italiano. Qualcuno obietta che la scelta di preferire il maschile al plurale nel caso di coesistenza di maschile e femminile al singolare è discriminatoria, l’uso del maschile è prevaricante. Esistono soluzioni per evitare la (supposta) sopraffazione?
Acquista sempre più piede la modalità di indicare esplicitamente il sesso delle persone a cui si fa riferimento. Ad esempio, in avvisi come questo. «Le studentesse e gli studenti che intendono sostenere l’esame di Linguistica italiana … ». In particolare nelle forme allocutive questa modalità, nel parlato e nello scritto, rappresenta un segnale di attenzione per le donne. Si diffondono formule come «Care amiche e cari amici», «Care colleghe e cari colleghi», «Care socie e cari soci», ecc. Il modello ha un antecedente nella tradizione dello spettacolo, nella quale è consueto rivolgersi al pubblico presente in sala con l’allocutivo «Signore e signori». È maggioritario nella lingua della politica. Un candidato si indirizza a chi potrebbe votarlo con l’allocuzione «Care elettrici e cari elettori», senza dimenticare di rivolgersi prima alle donne e poi agli uomini, con una galanteria che appare un po’ affettata, forse non del tutto sincera. È adottato nella comunicazione della Chiesa, a partire dal suo massimo esponente: «Sorelle e fratelli, sogniamo insieme!» leggo nella trascrizione di un discorso di Papa Francesco al IV incontro dei Movimenti Popolari. «Care Sorelle, Cari Fratelli, mi rivolgo a voi stasera con grande emozione e con profonda gioia» scrive Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, tutto maiuscolo «Care Sorelle, Cari Fratelli» (trovo i due testi in rete). Senza averlo previsto, proprio mentre scrivo quest’articolo, mi arriva un messaggio collettivo di posta elettronica, mandato da un professore ad altri professori, che chiude così: «Un saluto caro a tutte e a tutti!».