2) Patriottica. Uso questo aggettivo in accezione distintiva rispetto a “municipalistica” o “campanilistica” (rifiutati dallo stesso Antonaci) che tendono ad esprimere una chiusura gelosa e talvolta gretta. Ma non vi è dubbio che l’esposizione è animata da un sincero amore per Galatina (come del resto per tutto il Salento, come risulta da altri scritti) in forza dello spirito di iniziativa e dell’amore per la libertà che, nella visione di Antonaci, i Galatinesi hanno saputo esprimere in tutti i momenti della loro vita, a partire dal periodo orsiniano, giustamente considerato l’età dell’oro della città. E tale spirito di iniziativa si è manifestato non solo nel campo economico e politico, ma anche in quello culturale, come attestano i numerosi personaggi che si sono distinti in vari campi (dalla filosofia alla pittura, alla musica, alla letteratura) e di cui si dà nel testo ampio resoconto.
Attraverso il racconto sembra che Antonaci voglia invitare i Galatinesi a rispecchiarsi nella loro storia per trarne motivo di incoraggiamento e di sprone per l’azione del presente, giudicato sotto molti aspetti insoddisfacente.
3) Cattolica. Anche se esente da visioni provvidenzialistiche o apocalittiche, la narrazione storica mette in rilievo il contributo che la religione ha avuto nella vita della città, dalle prime comunità cristiane caratterizzate dalla convivenza di rito greco e rito latino, al ruolo della cultura benedettina nella costituzione delle masserie, alla centralità della presenza francescana, attestata nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, alla funzione delle parrocchie e dei parroci nella dinamica civile.
4) Popolare. Antonaci concepisce il suo scritto come storia di una comunità. Il termine ricorre più volte nel corso della trattazione e significativamente chiude il libro (p. 1014): “Ma, al di sopra di tutto, quel che emerge in questa storia è la presenza della comunità. E’ storia di una comunità compatta. Perciò è storia che viene dal basso, dal popolo. Ma non per questo meno storia di quella d’élite” (corsivi dell’Autore). E in effetti le realizzazioni della città sono viste come opera di tutto il popolo, non di una parte di esso (anche se i protagonisti sono singoli personaggi). Storia dunque popolare, ma non classista: non vi è traccia di lotte sociali (anche se viene dato spazio adeguato a personaggi che hanno incarnato istanze di riscatto sociale). Il popolo di cui Antonaci parla è tutto il popolo di Galatina, senza distinzioni, il popolo nella accezione risorgimentale, non in quella marxista, il popolo di Dio starei per dire, come d’altronde ci si deve attendere da un sacerdote, quale Antonaci era.
Ma il popolo entra anche per un altro verso in questa opera. Essa (anche se non è detto esplicitamente) è destinata al popolo, ad essere letta dal popolo. A questo intento risponde il suo dettato chiaro e disteso, spesso scopertamente didattico. E’ chiaro che, data la vasta cultura dell’Autore, talvolta emergano punte dotte o esoteriche (come nell’uso di terminologia filosofica o tecnica o di espressioni latine); ma esse sono intese a impreziosire, non a complicare, l’esposizione, che è il risultato di una capacità narrativa per la quale Antonaci mostra una naturale predisposizione. Capacità narrativa tanto più apprezzabile quanto più si accoglie l’idea che la storia coincide con la sua narrazione (o story-telling, come oggi si usa dire).