di Francesco D’Andria
Nel libro III dell’Eneide, Virgilio descrive il momento fatidico in cui i profughi troiani arrivano sulle coste dell’Italia, in un punto che il Poeta localizza proprio in corrispondenza dell’ingresso al mare Adriatico: le navi dell’eroe sono ormeggiate sul litorale dell’attuale Albania, ai piedi dei monti Cerauni, “unde iter Italiam cursusque brevissimus undis.” (“da dove la via per l’Italia è un brevissimo tratto di correnti”, nella traduzione di Vittorio Sermonti). A metà della notte il nocchiero Palinuro si leva e studia i venti, con l’orecchio capta le brezze e studia tutte le stelle: il momento è propizio per la traversata. “velorum pandimus alas” (apriamo le ali alle vele) e già, fugate le stelle, rubescebat Aurora (arrossiva l’Aurora), quando i Troiani vedono lontano la bassa costa dell’Italia (“humilemque videmus Italiam”). Si levano al cielo urla di giubilo e nei due versi, tra i più famosi del poema, i compagni di Enea gridano per ben tre volte il nome dell’Italia; poi appare sulla rocca il tempio di Minerva. Virgilio deve aver visitato questi luoghi, a giudicare dalla precisione con cui descrive l’insenatura del porto, protetta dai venti orientali, e la barriera di roccia che biancheggia di spume salate. Ora a Castro gli scavi archeologici recenti hanno infine portato alla luce il tempio di Minerva e la statua colossale della dea, patrona dei naviganti, accoglie nel Museo del Castello Aragonese migliaia di turisti attratti dalla storia e dai miti che si concentrano in questo punto della costa salentina. Dopo, i visitatori si portano sugli spalti delle mura spagnole, ai piedi della Cattedrale, per ammirare un paesaggio che unisce alla bellezza di un mare sempre azzurro il contesto di uno dei punti più sensibili in tutto il Mediterraneo, in cui le terre si avvicinano: lontano le sagome dei monti di Albania, a dominare la penisola del Karaburun, che d’inverno si copre di neve, dove i Greci fondarono la città di Orikos (attuale Valona) e l’isola di Sason, Più a sud la sagoma dell’isola di Othonì, di fronte a Corfù, con la cima del monte Pantocrator, che si può vedere da Castro soltanto nelle giornate in cui la tramontana spazza via dall’orizzonte la foschia.