di Antonio Lucio Giannone
Il Cantico del mare venne scritto da Girolamo Comi tra giugno e luglio del 1931, come risulta da due lettere indirizzate alla moglie Erminia, ritrovate tra le sue carte e citate da Donato Valli nell’Appendice filologica dell’edizione critica dell’Opera poetica, da lui curata. Nella prima, datata 30 giugno 1931, il poeta scrive: «Sto tentando un “Cantico del mare” che poi verrò a finire nella Pineta. Ho una specie di ansia panica del paesaggio in cui siete. Dimmi se ci sono alberi comiani e se il clima è sufficiente per la mia fame dirotta»1. Nella seconda, del 3 luglio 1931, annunzia: «Ho finito di scrivere il Cantico del mare. Te lo leggerò nella pineta: sono oltre sessanta versi»2. Fu pubblicato per la prima volta nel 1934 in Cantico dell’argilla e del sangue3, poi entrò a far parte di Poesia (1918-1938)4, e infine confluì in Spirito d’armonia (1912-1952)5.
Comi aveva esordito nel 1912 con il libro di versi d’impronta simbolista Il lampadario, apparso a Losanna, in Svizzera, dove egli studiava, e successivamente rifiutato6. Nel 1920, stabilitosi definitivamente a Roma dopo la permanenza parigina e la drammatica esperienza bellica, aveva ripreso l’attività letteraria pubblicando, fra l’altro, quattro raccolte poetiche stampate in raffinate autoedizioni e tirate in un numero limitato di esemplari: Lampadario (1920), I rosai di qui (1921), Smeraldi (1925) e Boschività sotterra (1927). Nella capitale, sulla base di comuni interessi spirituali e orientamenti estetici e letterari, aveva stretto rapporti di amicizia e collaborazione con alcuni scrittori come Arturo Onofri e Nicola Moscardelli, con i quali aveva fondato le edizioni “Al Tempo della Fortuna”. Con loro fece parte anche di circoli esoterici, come il cosiddetto Gruppo di Ur, collaborando tra il 1928 e il 1930 alle riviste dirette da Julius Evola, «Ur», «Krur», «La Torre». Nel 1929 pubblica Poesia (1918-1928), la sua prima antologia che comprendeva una scelta delle quattro raccolte precedenti, oltre a un certo numero di liriche nuove. In una recensione, Sergio Solmi, dopo aver preso in esame il libro postumo di Arturo Onofri, Simili a melodie rapprese in mondo, così scriveva a un certo punto: «Anche la poesia del Comi [come quella di Onofri] appare prender le mosse da un senso panteistico dell’universo, intento a cogliere negli aspetti naturali simboliche e misteriose “corrispondenze”, in un’aura di trionfante panismo magico»7.
Sulla concezione “cosmica” del poeta ha avuta un’influenza decisiva, com’è noto, la dottrina antroposofica di Rudolf Steiner il quale metteva in stretto rapporto lo spirituale presente nell’uomo con lo spirituale presente nell’universo fino ad arrivare a un’assoluta identificazione. Da qui anche il tentativo, da parte di Comi, di ritrovare con la “magia” della parola le forze e il ritmo interno che regolano l’“architettura” dell’universo in vista di una redenzione della materia attraverso lo spirito che dall’uomo, divenuto cosciente della sua presenza all’interno di sé, doveva propagarsi all’intero cosmo.