Di mestiere faccio il linguista 5. Il genere e la lingua

di Rosario Coluccia

In due articoli pubblicati sull’Espresso, la giornalista Michela Murgia, che molti conoscono anche per le ripetute apparizioni televisive, scrive frasi come le seguenti: «non dovrebbe compiacere nessunə che abbia a cuore l’emancipazione femminile» e «Cosa succede nella testa di chi è convintə che una donna sia sempre un valore aggiunto». Colpisce l’uso di scritte come «nessunə» e «convintə», in luogo dei consueti «nessuno» e «convinto», colpisce il tratto grafico finale «ə», che non esiste nella tastiera del computer (per digitarlo bisogna cercarlo con l’apposita utilità «Simboli»). Non è un errore di stampa, il tratto è intenzionale. Con questa scelta inconsueta Murgia manifesta la volontà di assumere, a suo dire, un comportamento politicamente corretto. È come se dicesse: bisogna ricorrere a questo modo di scrivere ogni volta che ci riferiamo a un’entità indeterminata di esseri umani (donne o uomini), in sostituzione della norma corrente, che prevede la desinenza maschile. Ad esempio, dovremmo scrivere «tuttə credono che il sole riscalda la terra» (invece di «tutti»), perché quell’opinione è attribuita sia alle donne che agli uomini, e quindi non va bene utilizzare il pronome indefinito «tutti», con desinenza maschile. Così, se si sta parlando di studenti (ragazze e ragazzi), bisognerebbe scrivere, ad esempio: «un certo numero di studentə ha difficoltà con la matematica». Con questa soluzione la forma maschile non prevale indebitamente su quella femminile.

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