La narrazione non è mai delegata a qualcuno, ma sempre la voce dell’autrice si accampa in primo piano e fornisce al lettore la cifra esatta che deve regolare l’interpretazione testuale, sicché dietro ogni eroina s’intuisce la presenza di lei, la narratrice Lina Iannuzzi, con tutta la sua esperienza di letteratura e vita. Non si dimentichi che la scrittrice è in primis una docente universitaria di letteratura italiana dalla ricca bibliografia, già cimentatasi col romanzo (Una storia del Novecento, E.S.I. Napoli 2002) e con una prima raccolta di novelle, Sulle tracce di Pitagora (Ibiskos, Empoli 2005), di cui alcune sono transitate nel volume che qui si recensisce.
Dal volume emerge una concezione della storia scandita secondo i tempi e la periodizzazione manualistica, dentro i quali l’aspirazione all’idillio che contraddistingue molti personaggi (perlopiù femminili) rimane inappagata e induce al ripiegamento interiore, al rifiuto mal dissimulato del nuovo e alla rivendicazione della validità imperitura degli antichi valori.
Si consideri, a titolo di specimen, il capitolo XIV dal titolo L’intervista (pp. 119-122), una storia ambientata a Gallipoli nella “tarda primavera del 1962”. Siamo in un’epoca in cui, scrive Iannuzzi, “la società … era attraversata da un malessere profondo”, da una “bufera”, al termine della quale “si scoprì una società diversa, forse non rinnovata, ma senza dubbio priva degli antichi valori”. La giovane protagonista, Diana, si innamora di Giangi, “un giovane longilineo, biondo, di grande bellezza, dagli occhi verde smeraldo”. E’ il suo primo amore, purtroppo, malgrado tutti i tentativi di seduzione da parte della donna, non corrisposto. Alla fine Diana è costretta a rinunciare: “Fu come trovarsi di fronte a un sasso. Infine una sera, dopo l’ennesimo tentativo inutile, sconfortata, tornò a casa di corsa e si gettò sul letto singhiozzando. L’udì la mamma che si fermò sulla soglia, chinò il capo e s’allontanò. Tramontava così tra le lacrime il primo amore della sua unica figlia”.
Dopo tanti anni, Diana scoprirà che Giangi, il suo primo amore, si era trasformato, a seguito di un intervento chirurgico, in un transessuale di nome Cristina. Ecco la reazione di Diana: “Diana ebbe un tuffo al cuore. Riemerse alla sua mente il ricordo […] di Giangi, il suo primo amore. Si allontanò dalla stanza della televisione e scese in giardino ad ascoltare il mare che sciabordava contro gli scogli. Poi sedette su una panchina collocata a ridosso di un pino secolare svettante. E pensò: la vita, che mistero!”.
Il racconto mette in luce i tre momenti sempre presenti nella prosa di Iannuzzi: l’idillio interrotto e, dunque, impossibile a realizzarsi, la stigmatizzazione del nuovo e il rimpianto dell’antico (come due facce della stessa medaglia) e il ripiegamento interiore della protagonista, che in realtà, è la stessa scrittrice, ammutolita davanti ad un caso così strano, sintomo di un cambiamento epocale inaccettabile. Nessuna rivoluzione riuscirà mai a distogliere Lina Iannuzzi dalla contemplazione del mistero della vita e neppure a farle cambiare idea. In questa contemplazione e in questa opposizione al mondo è il senso della sua prosa.
(2013)