Di mestiere faccio il linguista 4. Dante e la Settimana della lingua italiana nel mondo

La Settimana della lingua italiana nel mondo quest’anno si è svolta dal 18 al 24 ottobre. Come è quasi ovvio il tema prescelto ha riguardato Dante, “Dante 700 nel mondo”, in coincidenza con il settimo centenario della sua morte avvenuta, come moltissimi (anche non professori, anche non studenti) ormai sanno, nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Morì a Ravenna, città nella quale si trovava esiliato da Firenze, dopo essere tornato da una missione diplomatica svolta per conto di Guido Novello da Polenta, signore della città emiliana («essendo tornato da un’ambasceria in servigio de’ signori da Polenta» scrive Giovanni Villani, cronista fiorentino vissuto poco dopo Dante, che ammirava moltissimo il poeta suo concittadino). Forse morì di un’infezione broncopolmonare, secondo una diagnosi medica dei nostri tempi, non sappiamo quanto fondata. E non sappiamo quando davvero utile per le nostre conoscenze. Francamente si resta sbalorditi rispetto a una moda crescente. Sempre più spesso si utilizzano sofisticati strumenti diagnostici per esaminare poveri resti di persone scomparse secoli addietro, a volte senza sapere con sicurezza a chi davvero siano appartenuti, per scoprire cose di nessun interesse storico reale. Mere curiosità: quel tal uomo in vita aveva perso due denti, quell’altro forse soffriva di reumatismi, ecc. Banalità, soldi della ricerca mal impiegati. Non meritano l’interesse che a volte i media riservano a tali “scoperte”.

Nell’anno che ormai volge alla fine il grandissimo poeta, padre della lingua italiana (secondo una definizione diffusa) è stato celebrato in molti modi. Un Comitato Nazionale «Dante 2021» ha patrocinato e cofinanziato progetti di varia natura legati alla celebrazione dell’opera dantesca, è stato istituzionalizzato il Dantedì (‘giorno di Dante’, sul modello di lunedì ‘giorno della luna’, martedì ‘giorno di Marte’, ecc., nome inventato, insieme,  da Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca e Paolo Di Stefano, giornalista del Corriere della Sera) che si è svolto (e si svolgerà in futuro ogni anno) il 25 marzo (data presumibile d’inizio del viaggio attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso mirabilmente narrato nella «Divina Commedia»), si sono organizzati convegni, mostre e mille manifestazioni, si sono scritti articoli e libri. Non sempre tutto di altissimo livello: ma forse questo è un prezzo quasi inevitabile, quando istituzioni e soggetti diversi si impegnano sul medesimo tema.

Per la Settimana della lingua italiana dedicata a Dante l’Accademia della Crusca ha pubblicato il libro «Dante, l’italiano», a cura di Giovanna Frosini e Giuseppe Polimeni, con la partecipazione di «studiosi noti e affermati, dantisti di vaglia», affiancati da «giovani ma agguerriti ricercatori», Firenze, goWare (sia e-book sia a stampa, con costo ovviamente differente). Il titolo sottolinea la natura immanente dell’opera dantesca, espressione miracolosamente anticipatoria di un’identità nazionale che si sarebbe effettivamente realizzata solo molti secoli dopo. Opera di un successo strepitoso, la Divina Commedia, rapidamente diffusa in tutt’Italia subito dopo la sua composizione definitiva, commentata, riutilizzata, studiata per secoli, sia pure con fortuna a volte variabile (il culto  di Dante è meno forte tra Sei e Settecento). Anche al di là delle dimensioni letterarie e linguistiche (che siamo abituati a considerare come prevalenti) quell’opera permea la società italiana attraverso i canali più disparati: troviamo riflessi di Dante nell’opera lirica e nelle canzoni, nei fumetti, nell’enigmistica, nei libri per ragazzi, nel mondo pop, nelle traduzioni della Commedia realizzate in tutto il territorio nazionale in vari dialetti: torinese, milanese, friulano, genovese, bolognese, fiorentinesco, romanesco, napoletano, calabrese, siciliano, logudorese (il Logudoro è un territorio al centro della Sardegna). Vi è anche una traduzione in dialetto leccese: Giuseppe De Dominicis (noto con lo pseudonimo di Capitano Black) traduce nel dialetto di Cavallino (alle porte di Lecce), il canto XXXIII dell’Inferno, quello del conte Ugolino.

«Dante per il mondo», afferma un capitolo del libro di cui parliamo. In mille episodi l’opera di Dante è stata utilizzata in modo quasi profetico,  a sostegno di tesi ed eventi successivi agli anni in cui fu composta (ne scrive Francesco Bruni, storico della lingua che ha insegnato a Napoli e a Venezia). Dopo la Riforma luterana le critiche dantesche al Papato furono strumentalizzate come anticipazioni del nuovo credo protestante, con distorsioni interpretative che durarono a lungo, a dispetto della evidente inaccettabilità delle stesse. Byron, il più famoso scrittore inglese tra la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX, compose un poema, la «Dante’s prophecy» (profezia di Dante), come la Divina Commedia in terza rima (metro difficilissimo per la lingua inglese), in sei canti: Dante, prossimo a morte, profetizza la futura indipendenza italiana, che negli anni in cui Byron scriveva era di là da venire.   

La storia ci addita i vertici del canone classico  mondiale, che colloca sopra tutti Omero, Dante e Shakespeare. Jorge Luis Borges, scrittore argentino a cui (incomprensibilmente) non fu mai assegnato il Nobel per la letteratura, ha scritto: «Leggendo Dante, scivolo in un tempo senza tempo, e la mia immaginazione — impercettibilmente, a momenti — coglie l’eterno. Forse significa che l’Eterno esiste. Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine. Cogliere l’eterno, penetrare in un tempo senza tempo: ecco la risposta alla domanda «Perché leggere la Divina Commedia?». Può valere anche per noi.

                                               [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 31 ottobre 2021]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (quinta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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