di Carmen Gasparotto
Sapeva volare Pierluigi Cappello. Sapeva attraversare confini, riusciva a vedere a occhi chiusi come nel sogno per giungere al centro delle cose, nel loro punto più profondo.
“O ti levi in volo o rimani arenato”, diceva, a dimostrare che ognuno ha una sua idea di libertà che si configura in modo specifico in ciascuno di noi.
Per lungo tempo, dopo quel tragico incidente in moto che a soli sedici anni gli aveva spezzato la spina dorsale, il letto era diventato il suo studio, la sua sala da pranzo, il luogo dove poter riposare. Un luogo dove gli altri luoghi e la violenza del mondo non potevano entrare e dove la letteratura e la poesia assunsero la dimensione di qualcosa di cruciale e profondo.
Nell’amore per la poesia, fatto di studi serissimi e di letture forsennate cominciate sui banchi di scuola e proseguite per tutta la vita, Pierluigi Cappello trovò riscatto alla sua sventura. La sua casa, per molti anni una di quelle piccole case prefabbricate donate dal governo austriaco per il terremoto che nel 1976 aveva sconvolto il Friuli, “…era ingombra di libri. Libri che stipavano ogni angolo e che erano la dimostrazione fisica di questa passione divorante che lo ha sempre accompagnato”, scrive così Nicola Crocetti, fra i primi editori di Cappello, offrendo una preziosa testimonianza all’interno del volume “Pierluigi Cappello – Un poeta sulla pista della luce” (Forum, Editrice Universitaria Udinese – 2019) che raccoglie gli atti di un importante convegno tenutosi presso l’Università di Udine nel febbraio del 2018 e di cui sono curatori Franco Fabbro, Antonella Riem Natale e Marco D’Agostini.
Un libro molto ricco che contiene contributi di due tipi: da una parte una serie di analisi sulla poetica di Cappello, dall’altra una serie di testimonianze sulla persona e sul tratto umano del poeta. All’interno del libro è inserito il testo della lectio magistralis per il conferimento al poeta della laurea honoris causa in Scienze della Formazione avvenuta nel settembre 2013 all’Università di Udine.