Una nuova edizione delle poesie di Girolamo Comi

Non vi manca comunque, tuttavia, l’esercizio esegetico sui testi, affidato non tanto alla pratica di un close reading esteriore e formalistico, quanto allo sforzo di inquadrarli storicamente nella vicenda biografica e culturale del loro autore. Tre distinti saggi infatti, in apertura e in conclusione di libro, compongono un circolo ermeneutico compatto e coordinato che lumeggia, oltre agli aspetti testuali, anche vari e ulteriori elementi della figura e dell’opera di Comi. In apertura, il primo saggio di Giannone (Itinerario di Girolamo Comi, pp. XV-XL) introduce all’autore, ricostruendone formazione, influssi culturali e proponendo una scansione storicizzata del suo percorso creativo, dagli esordi e dalla prima fase orfico-simbolista sino a quella finale, identificata nella poesia-preghiera, passando per la stagione intermedia, di tipo cosmogonico e panteistico-immanentistico: al centro, naturalmente, la fondamentale cesura della conversione religiosa. Sigillano l’edizione, poi, due altri studi di Fabio Moliterni e di Simone Giorgino, che ruotano, invece, attorno al profilo di Comi, perché si occupano, rispettivamente, di individuare possibili tangenze col panorama della poesia di primo Novecento (Girolamo Comi: la poesia come inno, pp. 295-306), e di esaminarne la ricezione, per null’affatto secondaria, nella storiografia letteraria (Un aristocratico isolamento: la fortuna critica di Girolamo Comi, pp. 307-344). A corredo dei saggi, compaiono, infine, una Notizia biografica di Lorenzo Antonazzo (pp. XLI-XLVII) e una conclusiva Bibliografia della critica (pp. 335-340). In virtù di questa sua calibrata struttura, l’edizione rappresenta una messa a punto critico-testuale sull’opera di Comi, che non solo si giova degli studi pregressi, valorizzando in particolare il filone interpretativo di Oreste Macrì, Mario Marti e Donato Valli, fra i più acuti lettori del poeta di Lucugnano, ma offre anche visuali inedite su temi troppo a lungo negletti o trattati in modo inerziale e ripetitivo. Per esempio, l’estraneità di Comi al panorama letterario coevo, tradizionalmente rivendicata dalla storiografia, pare qui rovesciarsi, invece, in una prospettiva di vitale sincretismo, che coaugula insieme l’antroposofia di Rudolf Steiner e il simbolismo franco-belga, la vena innica ed elegiaca della poesia primo-novecentesca e la lirica di Arturo Onofri, il paradigma forse più direttamente accostabile alla poetica di Comi. Dinanzi a un’identità così tanto composita, confermata peraltro dai giudizi spesso ondivaghi o, per altro verso, iterativi della critica, i singoli autori dei saggi hanno opportunamente rinunciato all’utilizzo di etichette di comodo, individuando, invece, proprio in questa ibridazione la cifra identificativa dell’autore salentino. Così Giannone, impiegando il criterio dell’articolazione per fasi, riconosce nell’atipicità di Comi e nella sua poesia metafisica non delle caratteristiche respingenti, ma anzi la stessa ragione della sua «attualità» (p. XVI); e Moliterni, tentando di imbrigliare originalmente questa atipicità di Comi, fa invece ricorso alle «mappe tradite» della poesia del Novecento, di cui parla il filosofo Giorgio Agamben (p. 297), per assimilare la sua opera a un genere periferico e scarsamente frequentato della letteratura primo-novecentesca, quello della poesia-inno. Allo stesso modo, anche la presunta emarginazione del poeta di Lucugnano risulta ora decifrabile in realtà, più opinatamente, come una forma di voluto auto-isolamento e come corrispettivo esistenziale di una dimensione poetica vissuta sempre in uno stato di purezza aristocratica. Ne è prova il fatto che Comi manifesti una rinnovata socialità nel momento del rientro nel natio Salento, con la fondazione dell’Accademia Salentina e della rivista «L’Albero», occasioni da lui utilizzate per coinvolgere parte dell’establishment culturale coevo nella sua dimensione di signorile confinamento. Poeta radicato nella modernità letteraria, egli non è privo, tuttavia, anche di qualche tratto arcaizzante, come dimostra questa sua stessa idea di Accademia, forse più vicina, per modalità di organizzazione e di funzionamento, alle accolite umanistiche e tardo-umanistiche del suo territorio d’origine che agli spazi culturali del proprio tempo. Simili proiezioni dell’antico si riconoscono, del resto, anche nello stile del poeta, ma questo è un dato risaputo, con il ripescaggio, da parte sua, di moduli della metricologia romanza e del lessico stilnovista. In questa idea di otium aristocratico e raffinato, risiede in realtà la vera antropologia letteraria di Comi, con caratteri senz’altro, in parte, anti-novecenteschi. E quando, invece, i connotati della contemporaneità emergono chiaramente, essi si rivestono in lui, comunque, di inedite implicazioni moderniste: per il panismo, per la concezione dell’amore, per la sua stessa idea di cosmologia e di trascendenza. L’esperienza della conversione religiosa curva, del resto, in una diversa direzione ideologica e spirituale, ma non stravolge, un’attitudine alla riflessione che permane come traccia costante della sua poetica, anche nella fase pre-religiosa. Sicché verrebbe quasi da pensare che l’opera di Comi possa inscriversi in un ambito più remoto di quelli a cui abitualmente si pensa, e cioè in una linea di poesia filosofica d’area meridionale che parte da Tommaso Campanella e arriva a Giovan Vincenzo Gravina, alla cui filosofia della luce Comi pare avvicinarsi per la persistenza, nella sua poesia, di questo elemento fisico come principio ispirativo ed euristico. Alcune sezioni di Spirito d’armonia risultano peculiarmente emblematiche di una nervatura teoretica trasfigurata in linguaggio lirico (ricorre non a caso la forma del cantico come modulo poetico privilegiato) e in afflato misticheggiante. La poesia di Comi tende, come è noto, a risalire sempre all’indietro, verso orizzonti primordiali e genesiaci, nel supremo sforzo di cogliere una quintessenza archetipica, giustificatrice dell’ordine del mondo. E per far questo, scruta nell’alfabeto della natura, individuandone simboli e corrispondenze. La metànoia interviene poi a proiettare in una verticalità vertiginosa una ricerca di verità che, prima, si era sviluppata su un piano, invece, tutto immanentistico. Ma Comi non rinuncia alla teoresi neppure quando esplora territori meno ardui di quelli cosmogonici e filosofici, come l’avventura dell’amore. Anche l’eros terreno, infatti, viene a sublimarsi nella seconda raccolta, Canto per Eva, in cui si distinguono ancora una volta, nel nome della donna celebrata, la spinta verso un ritorno alle origini e a una dimensione incunabulare del mondo, oltre che l’identificazione in un eterno femminino. Canto per Eva non si presenta, perciò, come una deviazione eccentrica rispetto all’asse di senso principale dell’opera dello scrittore, ma piuttosto va considerata come una protrazione di tale asse su un distretto più circoscritto. I componimenti che ne fanno parte non sono semplicemente, infatti, il diario di un’esperienza individuale, ma simbolizzano ogni elemento residuo di autobiografia sub specie philosophica. Anche quando pare abbandonarsi a un’inclinazione descrittivista, Comi, in effetti, se ne discosta subito con prontezza, con l’obiettivo di trascendere il limite empirico. Accade in Spirito d’armonia, in una delle poesie più celebri, Immagine del Salento, oppure nelle tante istantanee che, sempre lì, raffigurano paesaggi, stagioni e gli elementi della natura. Ma questo si verifica anche in Canto per Eva, per ciò che concerne la descrizione della fenomenologia psico-fisica dell’eros, che richiama codici rappresentativi di tradizione e la medesima tensione speculativa della raccolta precedente, anche se non più applicata al motivo panteistico e cosmico. Il poeta dell’amore pare essere, insomma, l’altra faccia di quello orfico e cosmico, senza che ci sia vero décalage o alcuna contrapposizione fra queste due facce. Del resto, le lacerazioni interiori del vissuto amoroso sono le stesse di chi riflette sulla realtà misterica del mondo, solo che in questo secondo caso esse trovano un effetto amplificatore e moltiplicatore a contatto con una dimensione aumentata. Merito dei curatori è, dunque, di aver messo a sbalzo le tre raccolte principali, consentendo, in questo senso, di individuarvi un continuum poetico, anche se esso non si presenta quasi mai lineare, perché l’armonia vi coesiste col conflitto, quest’ultimo riconoscibile sotto traccia nelle «aritmie metriche» della poesia comiana, come le definisce Giorgino riprendendo Marti (p. 304). In Comi scrittura ed esperienza tendono, del resto, a coincidere ed è lo stesso poeta a parlare, nella nota introduttiva a Canto per Eva, di una combinazione dialettica fra «l’apparente monotonia» della sua opera e la «varietà tumultuosa, ma sempre un po’ repressa» della sua «vita interiore» (p. 149). Dentro questo sinolo poetico-esistenziale per nulla pacificato, coesistono in modo magmatico vicende diverse, talune singolari e inattese (come la vicinanza a Evola e al fascismo), che rendono la figura di Comi un vero e proprio rebus interpretativo, alla cui soluzione si sono dedicati con profitto gli autori di questa nuova edizione delle sue poesie.

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