L’umanità si traveste da bestia: “Brucia l’aria” di Omar Di Monopoli

Con una commistione tra linguaggio narrativo e linguaggio cinematografico – derivato da una formazione avvenuta sullo studio della grafica e del fumetto –  d’impronta noir, Di Monopoli racconta il Sud.  Esordisce nel 2007 con il romanzo “Uomini e cani” e nel 2008 viene pubblicato “Ferro e fuoco”. Seguono “La legge di Fonzi” (2010) e la raccolta di racconti “Aspettati l’inferno” (2014). Nel 2017 ha pubblicato “Nella perfida terra di Dio”. “Brucia l’aria” è il suo ultimo romanzo (2021).

Nelle narrazioni di Omar Di Monopoli, la linea tra uomini e bestie – “uomini e cani” – diventa sottile: in questi personaggi c’è una bestialità che si traveste da umanità e una maschera di ferinità che cela, tutto sommato, un tentativo di essere, poi, sempre uomini. Sembra non esserci salvezza per i personaggi di Omar di Monopoli le cui vite, talvolta, si riducono a essere relegate in un angolo, come fa un cane che, messo all’angolo viene bastonato e si accuccia e d’improvviso mostra i denti e sbava e ringhia e tanta è la rabbia che dalle sue zanne cola schiuma. Ma il cane non è cattivo. È impaurito. E messo al muro. Così non ha scampo. Nei romanzi di Di Monopoli non ci sono innocenti o colpevoli.  Perché tutti sono innocenti e tutti sono colpevoli, allora il bianco e il nero si confondono, ci sono dolori e orrori che si innestano nelle vite dei personaggi, vengono messi lì, come bruscamente introdotti, come se un’enorme mano avesse preso un dolore o un orrore o una violenza e l’avesse scagliata su di loro, su quelle formiche che sono i suoi personaggi, che non possono far altro che subirli. Ma chi è più forte sopravvive, mostra i denti e comincia a ringhiare e può anche mordere e addirittura dilaniare, strappare, far sanguinare. Chi non morde, soccombe all’angolo, sotto le bastonate.  Non esistono animi puri, secondo Di Monopoli. Forse esistono animi più luminosi o più puliti di altri, ma mai immacolati. C’è sempre un morbo, in ciascun animo, una macchia nera, un piccolo cancro che può restare lì dov’è, innocuo, o espandersi e infettare e inglobare e avvelenare tutto il resto. Aprendo “Brucia l’aria” ci si affaccia su animi intossicati di fumo, il fumo di una terra che non lascia scampo, animi che grattano con le unghie per aprirsi uno spiraglio, che cercano di spazzare via lo sporco, si affaccia sull’universo dei Caraglia: Rocco e Gaetano sono figli di Livio sui quali incombe, ancora dopo vent’anni, il fantasma del padre morto in un incendio del quale, forse, è stato lui stesso l’artefice, bruciato dal suo stesso fuoco, soffocato dal suo stesso fumo. Nella vecchia e cadente masseria di famiglia, Rocco e Gaetano accudiscono la madre malata con l’aiuto di Nunzia, primo amore di Rocco, mai dimenticato, che la prigionia di Rocco ha però, interrotto. Le vicende dei personaggi si svolgono in una terra nella quale rimanere entro il perimetro della legalità può risultare una sfida, una terra aspra che mette continuamente alla prova chi la calpesta. I personaggi di Omar Di Monopoli sono puntine fissate su una mappa che, geograficamente, è quella del Salento. Ma al di là delle spiagge, delle scogliere, delle torri, di albe e tramonti sul mare, si distende una terra brulla, crudele, un Salento parallelo che è un po’ reale e un po’ fittizio, le cui vicende ricordano fatti di cronaca modellati, però, dalla scrittura di un autore che racconta una terra interiore, mitica, paesaggio di un’epica feroce della quale Rocco e Gaetano si stagliano come statue di eroi immortali.

[“Leccenews24”, martedì 26 ottobre 2021]

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