Sviluppi semantici affascinanti sono legati al nome «veronica» ‘immagine di Gesù Cristo impressa sul sudario’ (dal 1321, Dante, Paradiso 31 103-104: «colui che forse di Croazia / viene a veder la veronica nostra»). Scartata la pseudo etimologia «vera icona», il sostantivo che designa il velo su cui sarebbe rimasta impressa l’immagine del volto di Gesù (leggenda raccontata dai Vangeli apocrifi) nasce dal nome proprio «Berenike», in latino (santa) «Veronica», pia donna che copre il volto di Cristo col sudario. L’immagine del gesto pietoso, dolce e avvolgente, si trasferisce nel nuovo significato che la parola «veronica» assume nel linguaggio della corrida spagnola e da lì entra in italiano (Ojetti, Emilio Cecchi): ‘mossa del torero che aspetta l’assalto del toro tenendo la cappa distesa davanti a sé e facendo all’ultimo istante uno scarto laterale per evitare la cornata’. E da lì, con passaggio ancora successivo, si trasferisce nel linguaggio dello sport: «veronica» significa nel tennis ‘volée alta di rovescio’, nel calcio ‘finta che consente di superare e sbilanciare l’avversario’. Dietro tutte queste forme c’è l’inconsapevole ricordo del nome della donna che, con gesto dolce e avvolgente, pietosamente ricopriva con un velo il volto di Cristo.
Il processo di derivazione di cui stiamo parlando si attua anche quando alla base ci sono forme di provenienza straniera. Dal francese «Dame Jeanne» ‘signora Gianna’ nasce «damigiana» (dal 1760, Gasparo Gozzi), grazie al paragone scherzoso tra una massaia dai fianchi larghi (la «Dame Jeanne», appunto) e il recipiente panciuto. Il nome del boia londinese «Derrick», vissuto intorno al 1600, provetto costruttore di forche e patiboli (strumenti prediletti del suo bel mestiere), ha originato il termine tecnico-specialistico «derrick» ‘torre per la trivellazione di pozzi petroliferi o per sondaggi geologico-minerari’ (dal 1930, Enciclopedia italiana). O ancora «mansarda» (in italiano dal 1803) che deriva dal francese «mansarde», a sua volta dal nome dell’architetto François Mansart (XVII sec.), che riprese un tipo di costruzione già esistente nel medioevo, specie in Francia. Altro termine molto noto è «sandwich» ‘panino imbottito’ (prima attestazione, in veste parzialmente italianizzata, nel 1890: «sandwiche»), tratto dal nome di John Montague, conte di Sandwich(1720-1792), il cui cuoco inventò questo modo rapido di cibarsi per permettergli di non abbandonare nemmeno per un istante il tavolo da gioco.
Come abbiamo già visto, dai nomi propri possono essere tratti anche verbi, aggettivi, ecc, sfruttando le risorse dell’affissazione, cioè utilizzando prefissi e suffissi, e anche ricorrendo a forme di composizione. Da Petrarca derivano voci come «petrarchesco», «petrarchismo», «petrarchista», «petrarcheggiare», «petrarchevole». A volte abusando, con risultati che arrivano a infastidire. Prendo, come esempio, un caso di un politico sicuramente noto (ma non, forse, il più famoso tra tutti). A partire dal nome dell’ex-sindaco di Roma «Veltroni» si incontrano nei giornali (e altrove) suffissati come «veltronata», «veltroniade», «veltroniano», «veltronico», «veltronismo», «veltronista», «veltroneide», «veltronite», «veltronesco», «veltronese», «veltronaccio», «veltronuccio», «veltronino», «veltroneggiare», «veltronare» e «veltronato», «veltronizzare» e «veltronizzato», e, con procedimento parasintetico, «inveltronato», «inveltronito»; prefissati: «superveltroni»; composti: «veltronopoli» e «veltroniboy»; parole macedonia, come i fumettistici «veltronero» e «veltronez» (da «Veltroni» incrociato rispettivamente con «Zapatero» e «Chávez»). Da alcune di queste forme, con ulteriore processo, si possono formare avverbi come «veltronicamente» e «veltronianamente», e nomi come «veltronizzazione» e «veltroneggiata».
Ci sono anche casi inversi, di nomi comuni da cui si generano nomi propri (o soprannomi). Dal nap. antico «fellusso» ‘moneta, denaro’ si genera «Fellusso» ‘soldino’, ‘monetina’, soprannome di uno schiavo negro che il 27 dicembre 1486 apriva il corteo del trionfale ingresso in Napoli di Alfonso d’Aragona, spazzando le vie del corteo, per simboleggiare la vittoria di Alfonso, capace di spazzare via i nemici. E, secoli più tardi, «Fellusso» è il cognome di uno dei giovani detenuti nel riformatorio di Nisida a Napoli, protagonisti del film «Scugnizzi» di Nanni Loy (1989): il cosceneggiatore Elvio Porta amava «scherzare con i suoni abbinandoli ai nomi o ai titoli nobiliari, per cui un amico diventava il signor Cantalupo in Sabina, qualcun altro il comandante Santacchione o il cavalier Pescassi» (così mi scrive Gaetano Amato, attore, scrittore, drammaturgo e regista teatrale, tra gli interpreti principali del film).
L’esempio più noto di questo processo è il seguente. Il sost. pinocchio ‘pinolo’ (attestato sin dal sec. XIV) diventa nome proprio nel notissimo racconto di Collodi, grazie a un’invenzione onomastica che ha assicurato una straordinaria fortuna, nell’italiano e anche in altre lingue, alla soluzione letteraria di Collodi.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 24 ottobre 2021]