«Cristo si è fermato a Eboli» di Carlo Levi

Luca Clerici, ad esempio, ha messo in rilievo la presenza, nel testo leviano, di due forze contrapposte, una centripeta e l’altra centrifuga. Da qui nasce il contrasto tra l’isolamento del territorio lucano e i molteplici rapporti spazio-temporali che esso, nonostante tutto, continua ad avere con la realtà nazionale e internazionale, dimostrati dalla comparsa di numerosi personaggi “esterni” e dalle frequenti allusioni a vicende della storia italiana. Per quanto riguarda il genere, Clerici ha ascritto l’opera alla memorialistica, proponendo la definizione di «memoria autobiografica costruita come un resoconto odeporico». Anche Marcella Marmo ha messo in rilievo la tensione, all’interno del Cristo, tra la rappresentazione, per tanti aspetti, diminutiva o negativa della realtà lucana, che emerge soprattutto nelle pagine introduttive, e la condivisione, l’empatia dell’autore con quest’«altro mondo», collocato fuori dalla Storia, nonché, ancora, tra l’alterità culturale arcaizzante di questa civiltà e le aperture alla modernità. Inoltre ha ricondotto la particolare prospettiva con cui Levi guarda al Sud alla sua vicinanza, in quegli anni, al progetto autonomista degli “azionisti”.

Giuseppe Bonifacino, ancora, riflettendo su uno dei nuclei teorici della scrittura letteraria di Levi, nel Cristo, la «compresenza dei tempi», giunge alla conclusione che proprio da qui, dal legame contrastivo fra il tempo estraneo e ostile della storia e il tempo arcano e “sacro” del mito, la prosa leviana attinge la sua forte spinta utopica dispiegandola nelle figure di un lirismo meditativo e visionario. Anna Ferrari si è soffermata sulla rappresentazione della Lucania «prima dell’alba», immobile, eternamente paziente, senza luce né voce, data provocatoriamente da Levi nel suo libro al fine di auspicarne il risveglio. Guardando al Sud dal punto di vita del Sud, difatti, lo scrittore chiarì in modo definitivo le condizioni dei contadini meridionali, l’urgente e improrogabile necessità di reintrodurli nella Storia.

Rosalba Galvagno, invece, ha riletto quest’opera alla luce di alcune profonde suggestioni calviniane, rivolgendo l’attenzione al tema, presente in essa, della malattia e della morte e al rapporto tra il confinato-medico e i contadini-pazienti. Pertanto, a suo giudizio, il Cristo può essere inserito in una gloriosa tradizione letteraria che culmina col Manzoni e si può interpretare come una sorta di «diario degli anni della peste», svincolandolo così dalla prospettiva meridionalistica. Fabio Moliterni si è occupato del retroterra biografico e culturale che accompagna la lunga gestazione del libro, ricostruendo le fonti culturali e gli strumenti d’analisi che lo scrittore elabora negli anni che intercorrono tra l’esperienza del confino lucano, la stesura di Paura e libertà (1939) e l’effettiva redazione dell’opera, fornendo in tal modo un supplemento d’indagine sulla ricchezza dell’identità intellettuale di Levi. Sull’influenza del Cristo nella narrativa meridionalista, si è soffermato invece Giuseppe Lupo, che ha messo in luce il rapporto di continuità/discontinuità di tanti scrittori con questo impegnativo modello, dal quale difficilmente essi sono riusciti ad affrancarsi.

Nuove acquisizioni sono venute poi dall’esplorazione degli archivi leviani e dai carteggi conservati presso istituzioni pubbliche, italiane e straniere. Luca Beltrami ha segnalato la presenza di alcune carte legate al Cristo e al confino lucano nel Fondo Carlo Levi di Alassio, ma al tempo stesso ha preso spunto da questa sede per avanzare un confronto tra due luoghi, Lucania e Liguria, che hanno segnato la biografia dello scrittore. Spesso infatti, nelle lettere di quel periodo e nel Cristo, il paesaggio lucano è descritto, per analogie o divergenze, in relazione a quello di Alassio. Patrizia Guida, invece, servendosi del carteggio intercorso tra Levi e gli editori americani conservato presso la Public Library di New York,  ha preso in esame la traduzione americana, sia per quanto concerne il processo editoriale che ha portato alla pubblicazione del libro (1947), sia per quanto riguarda il metodo traduttivo adottato. Si sono così analizzati i due testi, quello italiano e quello americano, anche alla luce delle varianti proposte dallo stesso Levi in fase di revisione delle bozze.

Basata su documenti d’archivio è stata anche la relazione di Guido Sacerdoti, che ha ricostruito accuratamente l’attività artistica leviana del confino (1935-1936), mettendo in rapporto i dipinti di quel periodo con il Cristo, scritto otto anni dopo, del quale quelli si possono considerare una sorta di “avantesto”. È stato questo, purtroppo, l’ultimo contributo di Sacerdoti, Presidente della Fondazione Carlo Levi di Roma, medico e pittore, alla conoscenza della produzione artistica e letteraria dello scrittore, del quale era nipote. Egli, infatti, è venuto a mancare improvvisamente qualche mese dopo il Seminario leccese al quale partecipò con impegno e passione, come ci sembra giusto ricordare alla fine di questa Premessa.

[Premessa a “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, a cura di A. L. Giannone, Pisa, Edizioni ETS, 2015]

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