Saturae IX

***

Nuova edizione, vecchio vizio

Novella Clodia, che tu sia “sgualdrinella febbricolosa”

o “puttana impestata”, a seconda dell’edizione, è cosa

che grida ai quattro venti la tua condotta scandalosa.

“Cosa, grida, cosa?”, mi chiedi arcigna, puttana scontrosa:

“che sei una battona, non solo la mia pagina licenziosa

e che senza tregua a tutti fiacchi i lombi, schifosa”.

Una donnaccia

Il Satirico ha compulsato più di un’edizione dei carmi catulliani e, a proposito di Clodia, ne riporta due definizioni che, più o meno, si equivalgono (“sgualdrinella febbricolosa” / o “puttana impestata”, a seconda dell’edizione). In realtà, il poeta ce l’ha con una Clodia dei nostri giorni, risentita per questi apprezzamenti poco lusinghieri che il poeta le avrebbe riservato. Nulla di più falso, dice il Satirico: che lei sia quello che è, lo sanno tutti. Fatto è che la licenziosità della novella Clodia lo ha fortemente irritato, ed ora egli non esista a manifestare tutta la sua disapprovazione con la solita maldicenza. Né si chieda per tutto questo una solida motivazione. Il Satirico, infatti, in quanto maldicente per definizione, non ha bisogno di nessuna motivazione.

***

Curculio

Parassita che, feccia del mondo,

per scroccare pranzi e cene,

da quadrato ti sei fatto tondo;

Titoru che, per non saper del futuro,

ti davi alla crapula, senza misura,

“t’hanno ucciso le salse di saperda e di siluro”.

Il parassita ghiottone

È di scena di nuovo il Margite-parassita, che qui dà il titolo al componimento col nome di un personaggio plautino, Curculio dell’omonima commedia. Ma il poeta non è mai sazio di riferimenti alla letteratura latina (Lucilio, Saturae I 54: Occidunt, Lupe, saperdae te et iura siluri, stigmatizza chi eccede nel cibo) che contamina con le tradizioni popolari (lu Titoru, ossia Teodoro, maschera di Gallipoli). Si racconta che lu Tidoru sia morto strangolato da una polpetta mentre si ingozzava prima del digiuno della Quaresima. Così capiterà anche al parassita ghiottone.

***

Saggezza popolare

Tu pensi che Simona ti possa bastare,

che solo lei, povero allocco, ti renda felice

e sei pronto su questo amore a giurare?

Forse desidera Fabrizio ancora Margherita?

Ieri sono due mesi e, già di lei stanco,

l’ha dimenticata ed ora smania per Rosita.

Che forse, è durato più di un plenilunio

(eppure lei si sbarazzò dei poveri genitori)

la furente passione di Sara per Antonio?

Per stare sola con lui, quei vecchi importuni

ha fatto fuori, aizzata dal diabolico amante,

falciandoli, come una macchia di pruni.

Così anche tu scoprirai Simona nei vicoli,

appena i primi tepori solleticano la foia,

che a qualcun altro scortica i testicoli.

Capirai quanto sia mobile la donna e lieve:

infatti a marzo, come la vulgata vuole,

si vedono gli stronzi, allo squagliar della neve.

***

Lezione di misogina

Il Satirico parla a un giovane innamorato e lo mette in guardia: Simona, Margherita, Rosita, Sara sembrano nomi innocenti, ma appartengono a donne perverse e ingannatrici che non esistano a mutar pensiero, a tradire, ad uccidere senza alcun rimorso di coscienza. La donna è mobile, come è cantato nella famosa aria del “Rigoletto” di Giuseppe Verdi e come già gli autori antichi hanno più volte sostenuto. Si pensi, solo per fare un esempio, alla VI satira di Giovenale. Il Satirico è del tutto politicamente scorretto e misogino senza remore né ripensamenti. La sua maldicenza non sarà approvata dai molti moralisti in circolazione, ma il Satirico non va in cerca di approvazione, altrimenti non avrebbe chiuso una poesia fondata sulla contaminazione (Verdi, Giovenale), con un detto popolare (o ditterio) salentino, dal tono piuttosto scurrile: tradotto in italiano, così suona in dialetto: Allu squagghiare te la nie se itenu li strunzi.

Questa voce è stata pubblicata in Poesia, Saturae. Poesie di Paolo Vincenti commentate da Gianluca Virgilio e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *