Saturae VIII

***

Mezzosangue

Ma quale nobili genere natus,

tu, che mi guardi dall’alto in basso,

figlio di un coitus non interruptus,

sei un mezzosangue a un dipresso!

Ti vanti di essere il discendente

dei De Pediis, illustre prosapia,

mentre io sarei un pezzente,

appena affrancato dalla sinopia:

ma “mi facci il piacere”, fannullone!

Si sa che tua madre circuì il signore,

spinta dal padre, colono e lenone,

e riuscì di quello a carpire il favore;

tuo nonno, da schiavo della famiglia,

volle prendersi la soddisfazione

per potere così restituire la pariglia

di compromettere il suo padrone

mescolando, per una raffinata vendetta,

ai titolati De Pediis il sangue blu

con il nero della sua miserabile schiatta,

quella da cui, arrogante, vieni anche tu.

La vera nobiltà, è una vecchia lezione,

è solo dei sentimenti e dell’altezza

d’ingegno, non la dà certo il blasone.

La tua aristocrazia viene dall’uccello

di tuo padre, il quale, abbindolato

da una domestica, le ha dato l’anello.

La vera nobiltà

Il Satirico rievoca una storia di seduzione e di ascesa sociale quale ci ha tramandato la fine della vecchia società contadina. La figlia di un colono seduce il nobile padrone, con la complicità del padre che le fa da mezzano; nasce un rampollo che, a detta del Satirico, non ha nulla di nobile, ma anzi rivela col suo comportamento sprezzante (egli “guarda dall’alto in basso il poeta”) le sue origini “mezzosangue”, come da titolo. E’ l’occasione per ritornare su “una vecchia lezione”: che cos’è la vera nobiltà”? Come Dante, che in Convivio IV parla della “verace nobilitate”, il Satirico dice che essa “è solo dei sentimenti e dell’altezza / d’ingegno, non la dà certo il blasone”. Il cognome della famiglia De Pediis è inventato, mentre reale è il riferimento a Totò, che di miseria e nobiltà se ne intendeva. Sinopia è la terra rossa (dal nome della città di Sinope sul Mar Nero da cui un tempo proveniva il colore rosso usato dagli antichi), che si può vedere in alcune zone del Salento dove più diffusa è la terra ricca di ferro.

***

Palinodia

Come a Stesicoro, i dioscuri Castore e Polluce

avevano sottratto gli occhi, per avere il poeta

straparlato di Elena, restituendogli la luce

solo quando quello ritrattò la improvvida sortita,

così ho sognato che un fottuto grillino, assai adirato,

mi portasse via il batacchio per avere, io malèdico,

sparlato del suo cinedo in un discorso privato,

togliendomi dall’inguine il piacere benefico;

e sebbene io conosca per pruova una certa ruberia,

per scagionare il suo amasio, mi tocca smentire,

e allora pronto, mi accingo alla mendace palinodia,

così da vedermi, perdonato, il prezioso bene restituire.

Castrazione

Satira politica e riferimenti mitologici e letterari si mescolano nella poesia, che ha per tema la castrazione del poeta, reo di aver rivelato una ruberia dell’amante omosessuale di un noto politico grillino; il quale, in sogno, restituirà al poeta il maltolto (i suoi testes, i testicoli) solo previa palinodia. Il poeta sa che il grillino castratore è un ladro, ma non può farci nulla: questi è il potente di turno e gli conviene ritrattare. Da notare il riferimento alla Palinodia di Stesicoro (il primo poeta della Magna Grecia, vissuto tra la fine del 7º e la prima metà del 6º sec. a. C.) nella quale questi ritratta quanto aveva affermato nell’elegia Elena a proposito della sposa di Menelao, e cioè che era una donna infedele. Il suo parlar male (che, ricordiamolo, è caratteristica propria del Satirico) gli aveva attirato la punizione dei divini fratelli Castore e Polluce, che lo avevano accecato. L’accecamento è figura della castrazione e ottima similitudine. Ancora una volta il Satirico è costretto a piegare la testa e a prendere le botte. Non è la prima volta. Ma ha la sua rivincita: la palinodia in forma poetico-satirica, infatti, è una falsa (“mendace”)  ritrattazione perché non fa che confermare le accuse al politico “infedele”.

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